domenica 31 gennaio 2016

Personaggi

Pat Garret e Billy the Kid

L'olandesina volante

Quasi pulito (senza polvere addosso)

Cena in camera... ma non siamo al Grand Hotel!

Alla Cuevas de los manos (abbastanza cotto)

Salvatore...

... di animali (in attesa di Balù)

Rifletto

Scopiamo (via la polvere)

Scopiamo 2 (la vendetta)

Claudia (è quella di sinistra)

Lila Ferrero (9 mesi)

Vicini vicini...

Da sinistra: Horacio, Ana, Franco, Dino e Claudio

Claudio (che beve)

Sorridiamo in quanto ad inizio della gita (ma dopo oltre 8 ore di marcia...)

Mannaggia 'sto paio di... borse!

Clotilde

Motociclisti sul bus...

... degli hippis!

Da notare i guanti: noblesse oblige

Suor Dina

Ma le fettuccine saranno al dente?

2 motociclisti in erba

Un toro poco raccomandabile

"A me quell'Esteban piace proprio!"

Esteban

Benvenuti

Ludovica (la nipote di Esteban)

(Questo video è stato scelto da Franco come colonna sonora di questo post - potete ascoltarlo spingendo Play, mentre guardate le foto)

Il guardiano del lago

Esteban ha gli occhi azzurri come il cielo della Patagonia; non è molto alto ma la sua figura sprigiona una grande energia. È' serio Esteban, sorride poco ma parla volentieri.
Porta il basco, Esteban, come suo padre e come suo nonno, è come loro è legato alla sua terra da un legame indissolubile.
Sua moglie ha una fabbrica di cioccolato a El Calafate, hanno una bella casa in paese, ma lui passa i suoi giorni e le sue notti solitarie nella Estancia del Mirto, sulle rive del Lago Argentino, in quello spazio immenso battuto dal vento insieme alle sue pecore e ai suoi vitelli, al suo cane e ai suoi cavalli.
Guarda il lago, Esteban, guarda quel piccolo braccio dello smisurato Lago Argentino sul quale oggi sorge la sua bella casa di legno e vetro, piena di luce, oggetti e colori e dove una volta sorgeva la casa della sua famiglia un po' più a valle, nella pianura alle pendici della montagna, dove ora c'è quel braccio di lago con al centro un'isolotto, poco più che un fazzoletto di terra che emerge a fatica dall'acqua.
La casa della sua famiglia era là, dove ora affiora quel piccolo lembo di terra che una volta era una sconfinata pianura: è stata sommersa dalla piena che si è portata via tutto, casa, animali, oggetti, ricordi.
È successo tanti anni fa, quando il Perito Moreno, uno dei più vasti ghiacciai del mondo, ha cominciato a scivolare lentamente a valle, fino a tuffarsi nel lago e a fermarsi contro una delle sue sponde, dividendolo in due parti con la sua enorme massa di ghiaccio che quotidianamente si frantuma con dei crolli spettacolari che richiamano turisti da ogni parte del mondo.
Quella diga naturale ha creato una partizione del lago e ne ha elevato i livelli, e la casa della famiglia di Esteban è stata sommersa.
Ma lui non si è arreso e ha ricostruito la casa più a monte e l'ha riempita di ricordi, di foto d'epoca, di animali imbalsamati, di oggetti che ha trovato sulle rive, quando ogni tanto l'acqua si ritira seguendo i capricci del ghiacciaio sdraiato nel lago come un uomo gigantesco tra le braccia della sua amante.
Conosce molto bene il ghiacciaio, Esteban, e bolla come sciocchezza il parere degli esperti che sostengono che il Perito Moreno cresce a differenza degli altri ghiacciai che si sciolgono: il Perito Moreno scivola a valle spinto dal suo stesso peso perché si sta sciogliendo come tutti gli altri ghiacciai del mondo per l'aumento della temperatura della crosta terrestre.
È' sereno, Esteban, mentre parla di questi immani eventi naturali e apre l'armadio dei suoi tesori, i regali del lago: pezzi di selce lavorata, punte di freccia, vertebre di animali preistorici, persino un uovo di dinosauro grande come un pallone da rugby. Tutti quei reperti testimoniano che l'inondazione della piana è già avvenuta milioni di anni fa e quindi che quello che sta succedendo oggi fa parte del ciclico ripetersi dei grandi eventi naturali, del ciclo della vita.
È quella la sua vita, la piana sconfinata a perdita d'occhio, il lago, la montagna, il vento che soffia incessante su quell'aria pulita, asciutta, profumata, gli animali intorno alla casa, il vitellino allattato con un grande biberon dalla sua deliziosa nipotina.
Si affaccia sull'aia, guarda lontano, sembra quasi sorridere Esteban, il guardiano del lago.

Dino

sabato 30 gennaio 2016

Ogni 20 Gennaio, a La Cueva de Las Manos...


Dopo 47 km di Ripio ci uniamo un po' malvolentieri alla visita guidata obbligatoria del patrimonio dell'umanità UNESCO 1999. Non c'è molta gente, per fortuna, il gruppo è poco numeroso, non più di una dozzina di persone, due ragazzi francesi, un'anziana coppia tedesca, due piccoli gruppi familiari argentini che scattano foto in tutte le pose, e poi lui: solo, diverso, taciturno, vestito di tutto punto con camicia, cravatta, soprabito e cappello. Avrà circa 60 anni ma ne dimostra molti di più, i capelli grigi, baffi e pizzetto dello stesso colore, l'espressione seria, le rughe e la mimica di chi non ride da troppo tempo, il ritratto di una tristezza antica senza fine.
La visita si svolge lungo un sentiero protetto da una balaustra che affaccia direttamente sul Canyon Des Pinturas in fondo al quale scorre il fiume.
In realtà la caverna vera e propria, di una ventina di metri di profondità, è soltanto una ma le pitture rupestri sono presenti in molti tratti lungo il sentiero, le più antiche vengono fatte risalire a piu di 9000 anni prima di Cristo.
Le pitture, molto ben conservate, sono policrome con colori che vanno dal rosso all'ocra, al verde, al giallo, al nero: gli inchiostri sono di origine minerale, diluiti con l'acqua, la saliva o forse l'urina.
I ritratti delle mani sono tutti in negativo, probabilmente realizzati soffiando la pittura sulle mani stesse appoggiate sulla roccia. Sono piccole, di donne o di bambini, sono in gran parte sinistre e soltanto una mostra sei dita.
Sono commuoventi e inquietanti a seconda del proprio stato d'animo... non so perché di primo acchito a me evocano le scene più recenti dei campi di concentramento nazisti: mi sembrano dei tentativi estremi di voler lasciare testimonianza di se nell'immanenza di una tragedia collettiva.
La guida ci spiega che al contrario sono considerate dagli studiosi dei segni di marcamento del territorio o la testimonianza di un rito di passaggio dall'età infantile all'età adulta.
Siamo tutti rapiti dalla poesia di quelle immagini: soltanto l'uomo serio non ascolta, non scatta foto, non fa commenti. Rimane chiuso nella sua solitudine impenetrabile, non un cenno o un'emozione di fronte a tutte quelle piccole mani, alle immagini di donne e bambini che con il gesto essenziale  di soffiare il colore sulla mano poggiata sulla roccia, cercano di trasformare quel rifugio  in un ambiente intimo, caldo e protettivo, nella loro casa, mentre fuori infuria il vento Patagonico.
Il giro finisce, ci attardiamo un po' sulla terrazza di fronte allo scenario dei canyons e, con mia somma sorpresa, vedo l'uomo pagare un nuovo biglietto e ripartire con il gruppo successivo per una nuova visita guidata.
Ne parlo con la guida con la quale abbiamo familiarizzato e:

- Lo conosciamo bene, viene da molti anni, sempre nello stesso giorno, il 20 Gennaio, con qualsiasi tempo e fa tutte le visite, dalla prima all'ultima. Conosce sicuramente la Cueva de Las Manos meglio di tutti noi!

Ripartiamo al tramonto e ci fermiamo a cena lungo la strada.
Entra senza guardare nessuno e si siede a un tavolo vicino: è lui, l'uomo serio della Cueva de las Manos, cosi anacronistico e fuori posto in quella bettola con la giacca e la cravatta, per compagna solo la sua tristezza.
A un tratto si alza con il bicchiere in mano, si avvicina al nostro tavolo.

- Siete italiani, vero? Lo sono anch'io, anche se ormai vivo in Argentina da molti, troppi anni. Permettete che mi sieda un po' con voi?

Siamo stupefatti ma ovviamente gli offriamo una sedia e ordiniamo un'altra bottiglia di vino.
Chiacchiere in libertà, gli raccontiamo chi siamo, del nostro progetto, del viaggio, dei Dominator, Easy Rider e via dicendo e lui ascolta attento, educato e compunto e dopo qualche bicchiere e aver appreso che sono un chirurgo oncologo, decide di raccontarci la sua storia.

È' un imprenditore, si è trasferito nel nord dell'Argentina molti anni fa: ha avuto successo, soldi, bella casa, amici, matrimonio felice con la donna della sua vita, non ha mai amato nessun altra, una figlia meravigliosa, una famiglia perfetta. Poi a un tratto la ragazzina comincia a stare male, ha 16 anni Viola, diventa inappetente, dimagrisce, non sta bene. Vanno a consulto dai migliori medici  d'Argentina, sembra una forma tumorale che si è sviluppata dentro l'addome: non è operabile dicono, deve essere sottoposta a chemioterapia. Viola affronta il suo calvario con coraggio e determinazione, perde tutti i capelli, la chemio la fa stare malissimo, la portano negli Stati Uniti dove c'è un chirurgo molto famoso che opera questi tumori.
Lo lascio raccontare, è un fiume in piena, lo ascolto con rispetto anche se conosco già la fine della storia, il destino di Viola.
Intervento, chemio e ancora chemio la bambina sta sempre peggio: UNESCO riconosce la Cueva de Las Manos come patrimonio dell'umanità, Viola esprime il desiderio di visitarla. La portano in sedia a rotelle, un 20 Gennaio, la ragazzina è estasiata è commossa di fronte a quello spettacolo, trascorre una giornata di grande felicità. Se ne andrà pochi giorni dopo.
Sua moglie, l'unica donna della sua vita non regge a tutto quel dolore, gli chiede perdono e scompare senza lasciare tracce dietro di se.
Un solo filo sottile li lega ancora, un filo che lui non vuole si spezzi, un ricordo vivido dell'ultima volta che hanno visto la loro figlia felice, quel 20 Gennaio alla Cueva de Las Manos.
E il 20 Gennaio lui sarà là, sempre, aspettando di rivederla.

Dino

giovedì 28 gennaio 2016

Ricardo

Lo incontriamo a Bahia Caracoles insieme alla sua squadra di fedelissimi. È un personaggio, è piuttosto avanti con gli anni ma sfoggia una forma fisica perfetta. Bahia Caracoles non è un paese, tanto meno una baia, sono quattro case e un hostel con station de gasolina, un gommista meccanico e il giudice di pace, direi essenziale in questo contesto. Tuttavia è posto a un crocevia piuttosto importante dove passano molti curiosi della Patagonia e sopratutto molto motociclisti, data la sua posizione strategica sulla famosa ruta 40 e la sua vicinanza alla Cueva de Los Manos.

Obbligati a rimanere mezza giornata per una riparazione trascorriamo la mattinata seduti al bar come i vitelloni tra caschi e borsoni. Arriva di tutto e con tutti è saluto, dialogo e cordialità, la strada è la strada, accomuna tutti quando si va, è come il mare, ci si riconosce, siamo finalmente un po' tutti uguali. Gli Argentini poi sono curiosi, aperti e affabili, le tre motociclette uguali li intrigano, sentono odore di avventura e quando ci sentono parlare in Italiano diventano matti, tutti hanno un parente o un amico in Italia.

Quando entra Ricardo e come se una scossa elettrica attraversi la stanza: i locali lo conoscono tutti, il patron esce dal banco con la sua notevole stazza per andarlo a salutare, la chica del bar che non ha dato confidenza a nessuno lo abbraccia e lo bacia così come la prosperosa senora del ristorante. Ricardo saluta tutti, abbraccia tutti, poi si avvicina al nostro tavolo: "Siete italiani? Siete quelli dei Dominator?"

Rimaniamo di stucco, parla in perfetto italiano con una lieve inflessione spagnola. È piccolo di statura, la figura asciutta, scattante, vestito di pelle nera con una bandana rossa sulla testa . Chiacchieriamo, beviamo una birra, poi risale sulla sua moto e va, seguito da una grossa auto che non lo abbandona mai.

Dopo un po' riprendiamo la via anche noi diretti a sud. Lo incontriamo qualche centinaio di kilometri dopo, fermo su una piazzola della ruta 40 con i suoi fidi che non lo lasciano mai, non ha bisogno di nulla e ci fa cenno di proseguire.

A sera ci fermiamo per dormire a Gobernador Gregores e andiamo a cena in un ristorante consigliato dai gestori. Dopo pochi minuti ecco arrivare Ricardo e la sua banda, che prendono posto nel tavolo accanto al nostro. Risa chiacchiere e racconti, alla fine giriamo le sedie e stiamo tutti insieme. È lui racconta, racconta la sua vita senza che nessuno osi aprire bocca.

Ha 78 anni Ricardo e gira la Patagonia in moto da una vita anzi da quando è cominciata la sua seconda vita. È nato in Italia, Ricardo, in provincia di Reggio Emilia, e ha vissuto la' i primi quarant'anni della sua vita. Quando un incidente d'auto lo priva dei suoi affetti più cari, moglie e figlio, gli sembra di impazzire. Molla tutto, vende la sua impresa e parte con il primo aereo. Si ritrova a Buenos Aires senza più alcuna voglia di vivere, di lavorare, di ricominciare. Conosce tutta la città dalla parte dei bordelli e delle più infime osterie, poi si trasferisce a Mendoza e a Rosario per tornare a Buenos Aires vivendo nella sua perenne atmosfera etilica. Ridotto quasi a un barbone si avvia verso il sud. Arrivato a Benito Juarez, un paesino lungo la costa orientale, si siede nella piazza principale appoggiato al suo zaino e si addormenta completamente ubriaco. Lo sveglia un tizio che lo invita ad alzarsi, gli fa sciacquare la faccia, lo fa salire su una moto e lo porta a casa sua. Là lo accudisce lo nutre e alcuni giorni dopo lo introduce nel circolo di bikers di cui è presidente. Vive con loro per alcuni mesi e comincia a provare interesse per le moto. Se ne procura una, gira un po' con i suoi nuovi amici un po' da solo, si avventura fino alla Penisola di Valdes, la percorre in lungo e in largo tra guanachi elefanti e leoni marini e pinguini, conosce Matias, un ragazzo dolcissimo che lavora come sorvegliante, che lo ospita nella sua baracca dove rimane molti giorni tra cielo e mare.
Quel ragazzo bello e dolce, laureato in biologia e sposato con un figlio, che ha scelto di vivere da solo in quel paradiso naturale, che mantiene il suo equilibrio interiore vivendo tra cielo e mare lo fa riflettere.
E capisce.
Capisce che non può buttare la sua vita o quel che ne rimane in quel fiume d'alcool nel quale ha rischiato di annegare e riparte, sulla moto, senza più fermarsi. Fa molti chilometri Ricardo in quella terra riarsa e brulla ma piena di emozioni e incontra molta gente e da una mano a tutti quelli che ne hanno bisogno. È sempre pronto, Ricardo, a correre in aiuto di un amico, anche per ascoltarlo davanti a una birra. E va, trascorre la sua vita sulle strade della Paragonia, e la strada è diventata la sua vita.
La sua nuova vita.

Dino

Il Fitz Roy

Stamane siamo partiti per una gita al mirador del Fitz Roy. Uno di noi è rimasto all'hostel (non faccio nomi...) gli altri 2 intrepidi si aono lanciati. Le carte (e l'ufficio del Turismo) dicono 20,4 km A/R, 1.600 mt. di dislivello e 8,5 ore di passione. Lo stambecco (pietoso) batte il passo come un metronomo da marcia funebre. L'adepto lo segue nonostante gli 87 kg e l'allenamento di un giocatore di dama. Il romanziere ci segue con il pensiero (abbiamo poi saputo che non è neppure uscito dall'hostel nonostante il magnifico prato). Tempo abbastanza buono ma il Fitz è coperto di nuvole. Le poche schiarite ci vedono sparare foto a ripetizione. Man mano che ci avviciniamo alla meta la visibilità migliora ed anche le tabelle dei km ci sembrano falsate in difetto. Ben altra storia sarà il ritorno con i km che non passano mai. Gli ultimi 500 mt di ascensione sono un'agonia per l'adepto di 87 kg che raggiunge comunque la meta (impagabile e bellissima) sotto il limite di 4,5 ore che recitano le guide. Li c'è lo stambecco, paziente, che lo attende. Pausa di un'oretta e rientro in agonia crescente (dell'adepto). Le tabelle dei km devono essere state spostate perché non arrivano mai...
Comunque (claudicanti e diatrutti) rientriamo alle base ma incontriamo Horacio e Ana (3 figli e 9 nipoti) già conosciuti a Puerto Murta 3 gg addietro. Con loro ci diamo appuntamento a cena (docciati e sempre più affamati) ed in condizioni presentabili (vedi foto di "bife a la encebollada). Il rientro da cena (a piedi) vede Horacio e Dino (entrambi chirurghi) che manca poco che si fidanzino.