Dopo 47 km di Ripio ci uniamo un po' malvolentieri alla visita guidata obbligatoria del patrimonio dell'umanità UNESCO 1999. Non c'è molta gente, per fortuna, il gruppo è poco numeroso, non più di una dozzina di persone, due ragazzi francesi, un'anziana coppia tedesca, due piccoli gruppi familiari argentini che scattano foto in tutte le pose, e poi lui: solo, diverso, taciturno, vestito di tutto punto con camicia, cravatta, soprabito e cappello. Avrà circa 60 anni ma ne dimostra molti di più, i capelli grigi, baffi e pizzetto dello stesso colore, l'espressione seria, le rughe e la mimica di chi non ride da troppo tempo, il ritratto di una tristezza antica senza fine.
La visita si svolge lungo un sentiero protetto da una balaustra che affaccia direttamente sul Canyon Des Pinturas in fondo al quale scorre il fiume.
In realtà la caverna vera e propria, di una ventina di metri di profondità, è soltanto una ma le pitture rupestri sono presenti in molti tratti lungo il sentiero, le più antiche vengono fatte risalire a piu di 9000 anni prima di Cristo.
Le pitture, molto ben conservate, sono policrome con colori che vanno dal rosso all'ocra, al verde, al giallo, al nero: gli inchiostri sono di origine minerale, diluiti con l'acqua, la saliva o forse l'urina.
I ritratti delle mani sono tutti in negativo, probabilmente realizzati soffiando la pittura sulle mani stesse appoggiate sulla roccia. Sono piccole, di donne o di bambini, sono in gran parte sinistre e soltanto una mostra sei dita.
Sono commuoventi e inquietanti a seconda del proprio stato d'animo... non so perché di primo acchito a me evocano le scene più recenti dei campi di concentramento nazisti: mi sembrano dei tentativi estremi di voler lasciare testimonianza di se nell'immanenza di una tragedia collettiva.
La guida ci spiega che al contrario sono considerate dagli studiosi dei segni di marcamento del territorio o la testimonianza di un rito di passaggio dall'età infantile all'età adulta.
Siamo tutti rapiti dalla poesia di quelle immagini: soltanto l'uomo serio non ascolta, non scatta foto, non fa commenti. Rimane chiuso nella sua solitudine impenetrabile, non un cenno o un'emozione di fronte a tutte quelle piccole mani, alle immagini di donne e bambini che con il gesto essenziale di soffiare il colore sulla mano poggiata sulla roccia, cercano di trasformare quel rifugio in un ambiente intimo, caldo e protettivo, nella loro casa, mentre fuori infuria il vento Patagonico.
Il giro finisce, ci attardiamo un po' sulla terrazza di fronte allo scenario dei canyons e, con mia somma sorpresa, vedo l'uomo pagare un nuovo biglietto e ripartire con il gruppo successivo per una nuova visita guidata.
Ne parlo con la guida con la quale abbiamo familiarizzato e:
- Lo conosciamo bene, viene da molti anni, sempre nello stesso giorno, il 20 Gennaio, con qualsiasi tempo e fa tutte le visite, dalla prima all'ultima. Conosce sicuramente la Cueva de Las Manos meglio di tutti noi!
Ripartiamo al tramonto e ci fermiamo a cena lungo la strada.
Entra senza guardare nessuno e si siede a un tavolo vicino: è lui, l'uomo serio della Cueva de las Manos, cosi anacronistico e fuori posto in quella bettola con la giacca e la cravatta, per compagna solo la sua tristezza.
A un tratto si alza con il bicchiere in mano, si avvicina al nostro tavolo.
- Siete italiani, vero? Lo sono anch'io, anche se ormai vivo in Argentina da molti, troppi anni. Permettete che mi sieda un po' con voi?
Siamo stupefatti ma ovviamente gli offriamo una sedia e ordiniamo un'altra bottiglia di vino.
Chiacchiere in libertà, gli raccontiamo chi siamo, del nostro progetto, del viaggio, dei Dominator, Easy Rider e via dicendo e lui ascolta attento, educato e compunto e dopo qualche bicchiere e aver appreso che sono un chirurgo oncologo, decide di raccontarci la sua storia.
È' un imprenditore, si è trasferito nel nord dell'Argentina molti anni fa: ha avuto successo, soldi, bella casa, amici, matrimonio felice con la donna della sua vita, non ha mai amato nessun altra, una figlia meravigliosa, una famiglia perfetta. Poi a un tratto la ragazzina comincia a stare male, ha 16 anni Viola, diventa inappetente, dimagrisce, non sta bene. Vanno a consulto dai migliori medici d'Argentina, sembra una forma tumorale che si è sviluppata dentro l'addome: non è operabile dicono, deve essere sottoposta a chemioterapia. Viola affronta il suo calvario con coraggio e determinazione, perde tutti i capelli, la chemio la fa stare malissimo, la portano negli Stati Uniti dove c'è un chirurgo molto famoso che opera questi tumori.
Lo lascio raccontare, è un fiume in piena, lo ascolto con rispetto anche se conosco già la fine della storia, il destino di Viola.
Intervento, chemio e ancora chemio la bambina sta sempre peggio: UNESCO riconosce la Cueva de Las Manos come patrimonio dell'umanità, Viola esprime il desiderio di visitarla. La portano in sedia a rotelle, un 20 Gennaio, la ragazzina è estasiata è commossa di fronte a quello spettacolo, trascorre una giornata di grande felicità. Se ne andrà pochi giorni dopo.
Sua moglie, l'unica donna della sua vita non regge a tutto quel dolore, gli chiede perdono e scompare senza lasciare tracce dietro di se.
Un solo filo sottile li lega ancora, un filo che lui non vuole si spezzi, un ricordo vivido dell'ultima volta che hanno visto la loro figlia felice, quel 20 Gennaio alla Cueva de Las Manos.
E il 20 Gennaio lui sarà là, sempre, aspettando di rivederla.
Dino