Sono a Salta, la prospettiva di trascorrere due giorni in solitudine aspettando i miei compagni di ritorno dal giro nella Puna non mi spaventa ma non ho alcuna intenzione di star rinchiuso in una stanza per quanto confortevole essa sia. Il Tren a las nubes mi tenta: è una gita impegnativa che dura una giornata, il prezzo è ragionevole, ma parte soltanto martedì e sabato, quindi io potrei solo domani. Con internet e telefono non ottengo nulla, prenotare per domani è impossibile. Vado a cercare un info point dove mi invitano a rivolgermi a un ufficio in una traversa della piazza centrale. La ricerca di per se non agevole è complicata dall'abitudine dei Saltegni di dare alle strade più appellativi e dalla quasi totale assenza dei numeri civici. Trovo la shopping gallery dove dovrebbe essere allocato il misterioso ufficio, salgo al primo piano come da indicazioni, ma niente. Mi aggiro nella galleria in cerca di questo fantomatico box 33 e alla fine lo trovo su un mezzanino, seminascosto. L'impiegato è gentile, mi spiega tutto e mi dice che gli è rimasto un solo posto per l'indomani. Detto fatto, passaporto, carta di credito, si va.
Il progetto di costruire la Ferrovia Transandina del Norte, nota come Ramal C-14, nacque nel 1905 e vide la luce solo nel 1921, quando iniziarono effettivamente i lavori che vennero completati nel 1948. La grande opera, concepita dall'allora presidente Hipolito Irigoyen, prevedeva il collegamento tra Salta e Antofagasta, città portuale cilena, con un percorso di 903 km attraverso il Passo della Socompa; si intendeva realizzare un collegamento diretto tra la Capitale della Provincia del Nord Ovest con il Cile e l'Oceano Pacifico, in anni in cui la ferrovia veniva considerata la migliore alleata per lo sviluppo dell'Argentina. Era, nel suo insieme, un'opera titanica, che fu realizzata sotto la direzione dell'ingegnere americano Richard Maury: ai lavori, svoltisi in condizioni di grande difficoltà, parteciparono più di 2000 operai, per lo più immigrati tra i quali anche un certo Joseph Broz, che sarebbe poi diventato tristemente noto con il nome di Maresciallo Tito.
La capricciosa geografia della zona moltiplicò le difficoltà che Maury riuscì a superare con un progetto basato su tre caposaldi: non azzardare pendenze maggiori del 2,5%, non disegnare curve maggiori di 120 metri di raggio, tener sempre presente i suggerimenti dei locali.
La ferrovia visse alterne vicende fino al 1971, quando tramontò definitivamente il progetto di implementare un servizio merci e passeggeri su quella linea: i binari dei due Paesi non erano compatibili per la diversa qualità del legno delle traversine, troppo morbide quelle cilene per le locomotive argentine.
La stessa Commissione che decretò il fallimento del progetto concepì allora l'idea di un treno turistico tra Salta e il Viadotto La Polvorilla con un percorso di 428 km tra andata e ritorno attraverso splendidi paesaggi di notevole policromia. In questo breve viaggio, che durava un'intera giornata, si saliva dai 1287 m di Salta ai 4186 di La Polvorilla attraverso ponti, tunnel, viadotti in un tragitto di notevole bellezza.
In realtà oggi rimane agibile soltanto un breve tratto di 23 km tra San Antonio de los Cobres e il viadotto La Polvorilla, tutto il resto è purtroppo caduto in disuso. Se si vuole prendere il Tren a las nubes, il programma prevede partenza in autobus da Salta, treno a San Antonio de los Cobres, andata e ritorno al viadotto La Polvorilla, poi di nuovo bus fino a Salta. Non ci sono altre alternative.
Sveglia alle 5 per finire di assemblare i bagagli, oggi mi trasferiscono nel mega appartamento preso insieme ai miei companeros che arriveranno domani sera, caffè solubile e via, una buona mezz'ora di cammino a passo spedito per arrivare al check in alle 6.30. Alle 7 in punto si parte in pullman (i bus sono tre, tutti pieni) diretti a San Antonio de los Cobres, a circa 150 km da Salta, dove arriveremo dopo 4 ore di viaggio, con soste per miradores (tra i quali un'altro magnifico Cierro dei 7 colores), fotografie, caffè, toilette etc.
L'esperienza è abbastanza scioccante, perché di fatto si scalano le Ande, salendo in poche ore da mille a più di quattromila metri sul livello del mare, fino al "paese delle nuvole".
Nella prima parte del viaggio si attraversa la Cordigliera Orientale, cioè la valle di Lerma, per entrare nella Quebrada del Toro, nella quale il fiume ha scavato il suo letto sfruttando una profonda faglia della superficie terrestre, quasi una lacrima sulla crosta geologica andina.
La ruta 51 si snoda nella Quebrada tra ampie valli verdeggianti circondate da montagne grigie e rosse completamente brulle, che vengono sostituite da alte pareti di ardesia grigio verde dove crescono solo i cactus ma ancora per poco, perché il riscaldamento globale sta uccidendo anche loro: di tanto in tanto lo sguardo si apre su tornanti e vallate rocciose, di selvaggia bellezza in cui dominano il bianco sporco e il grigio chiaro. Dopo l'ultima tappa a El Afarcito, dove comincio ad avvertire un vago mal di testa da altitudine, il nastro di buon asfalto comincia a correre in un panorama affatto diverso, con ampi orizzonti dove la sguardo si perde in un tripudio di giallo verde e marrone: la Puna.
Siamo già a quasi 3000 metri e l'altopiano comincia a disvelarsi con ampi scorci su vasti spazi che ci accompagnano fino a San Antonio de los Cobres. Il Tren a la nubes ci aspetta e parte puntuale con un'andatura molto turistica intorno ai 30 km ora, tra pareti rocciose a destra e vasti scorci sugli altipiani a sinistra: la Puna, la regione delle saline e dei vulcani, il deserto in altitudine rigoroso e inospitale, considerato secondo nel suo genere solo agli altopiani del Tibet. Il mio vicino di posto, un Argentino molto simpatico, nota il mio disagio e mi offre una manciata di foglie di coca, che comincio a masticare religiosamente fino a che non scompare il mal di testa. Nel frattempo lo sguardo si perde in orizzonti di colori diversissimi, dalle sfumature dei grigi e dei verdi fino ad ampi spazi in cui dominano il giallo e il marrone, quasi una infinita pelle di leopardo. Il treno prosegue attraversando miniere d'argento abbandonate, vulcani basaltici neri, saline immense...
Fino al Viadotto di La Polvorilla, che lascia senza fiato.
È un viadotto curvo, lungo 224 m, in cui i binari sono alti 63 m rispetto al fondo del burrone che attraversa, unico al mondo nel suo genere. Fu costruito tra il 1930 e il 1932 dalla fabbrica italiana Monfalcone, assemblato nelle officine della compagnia Cosulich, a Trieste e testato in un vicino burrone. Successivamente fu imballato pezzo per pezzo e trasportato via nave al porto di Buenos Aires, per essere terminato di montare nel 1932.
Il viadotto fu definitivamente abilitato solo nel 1939.
Ai nostri occhi si presenta uno spettacolo incredibile, dove l'opera dell'uomo si va ad incastonare in uno scenario naturale mozzafiato: le due pareti del profondo burrone sono unite da un grande arco, sostenuto da un'impalcatura di ferro imperniata su grandi tralicci centrali che raggiungono il fondo del crepaccio a varie altezze. E' un'opera complessa e magnifica, che ribadisce la grandezza e le immense capacità della razza umana, quando ben indirizzate.
Il progetto di costruire la Ferrovia Transandina del Norte, nota come Ramal C-14, nacque nel 1905 e vide la luce solo nel 1921, quando iniziarono effettivamente i lavori che vennero completati nel 1948. La grande opera, concepita dall'allora presidente Hipolito Irigoyen, prevedeva il collegamento tra Salta e Antofagasta, città portuale cilena, con un percorso di 903 km attraverso il Passo della Socompa; si intendeva realizzare un collegamento diretto tra la Capitale della Provincia del Nord Ovest con il Cile e l'Oceano Pacifico, in anni in cui la ferrovia veniva considerata la migliore alleata per lo sviluppo dell'Argentina. Era, nel suo insieme, un'opera titanica, che fu realizzata sotto la direzione dell'ingegnere americano Richard Maury: ai lavori, svoltisi in condizioni di grande difficoltà, parteciparono più di 2000 operai, per lo più immigrati tra i quali anche un certo Joseph Broz, che sarebbe poi diventato tristemente noto con il nome di Maresciallo Tito.
La capricciosa geografia della zona moltiplicò le difficoltà che Maury riuscì a superare con un progetto basato su tre caposaldi: non azzardare pendenze maggiori del 2,5%, non disegnare curve maggiori di 120 metri di raggio, tener sempre presente i suggerimenti dei locali.
La ferrovia visse alterne vicende fino al 1971, quando tramontò definitivamente il progetto di implementare un servizio merci e passeggeri su quella linea: i binari dei due Paesi non erano compatibili per la diversa qualità del legno delle traversine, troppo morbide quelle cilene per le locomotive argentine.
La stessa Commissione che decretò il fallimento del progetto concepì allora l'idea di un treno turistico tra Salta e il Viadotto La Polvorilla con un percorso di 428 km tra andata e ritorno attraverso splendidi paesaggi di notevole policromia. In questo breve viaggio, che durava un'intera giornata, si saliva dai 1287 m di Salta ai 4186 di La Polvorilla attraverso ponti, tunnel, viadotti in un tragitto di notevole bellezza.
In realtà oggi rimane agibile soltanto un breve tratto di 23 km tra San Antonio de los Cobres e il viadotto La Polvorilla, tutto il resto è purtroppo caduto in disuso. Se si vuole prendere il Tren a las nubes, il programma prevede partenza in autobus da Salta, treno a San Antonio de los Cobres, andata e ritorno al viadotto La Polvorilla, poi di nuovo bus fino a Salta. Non ci sono altre alternative.
Sveglia alle 5 per finire di assemblare i bagagli, oggi mi trasferiscono nel mega appartamento preso insieme ai miei companeros che arriveranno domani sera, caffè solubile e via, una buona mezz'ora di cammino a passo spedito per arrivare al check in alle 6.30. Alle 7 in punto si parte in pullman (i bus sono tre, tutti pieni) diretti a San Antonio de los Cobres, a circa 150 km da Salta, dove arriveremo dopo 4 ore di viaggio, con soste per miradores (tra i quali un'altro magnifico Cierro dei 7 colores), fotografie, caffè, toilette etc.
L'esperienza è abbastanza scioccante, perché di fatto si scalano le Ande, salendo in poche ore da mille a più di quattromila metri sul livello del mare, fino al "paese delle nuvole".
Nella prima parte del viaggio si attraversa la Cordigliera Orientale, cioè la valle di Lerma, per entrare nella Quebrada del Toro, nella quale il fiume ha scavato il suo letto sfruttando una profonda faglia della superficie terrestre, quasi una lacrima sulla crosta geologica andina.
La ruta 51 si snoda nella Quebrada tra ampie valli verdeggianti circondate da montagne grigie e rosse completamente brulle, che vengono sostituite da alte pareti di ardesia grigio verde dove crescono solo i cactus ma ancora per poco, perché il riscaldamento globale sta uccidendo anche loro: di tanto in tanto lo sguardo si apre su tornanti e vallate rocciose, di selvaggia bellezza in cui dominano il bianco sporco e il grigio chiaro. Dopo l'ultima tappa a El Afarcito, dove comincio ad avvertire un vago mal di testa da altitudine, il nastro di buon asfalto comincia a correre in un panorama affatto diverso, con ampi orizzonti dove la sguardo si perde in un tripudio di giallo verde e marrone: la Puna.
Siamo già a quasi 3000 metri e l'altopiano comincia a disvelarsi con ampi scorci su vasti spazi che ci accompagnano fino a San Antonio de los Cobres. Il Tren a la nubes ci aspetta e parte puntuale con un'andatura molto turistica intorno ai 30 km ora, tra pareti rocciose a destra e vasti scorci sugli altipiani a sinistra: la Puna, la regione delle saline e dei vulcani, il deserto in altitudine rigoroso e inospitale, considerato secondo nel suo genere solo agli altopiani del Tibet. Il mio vicino di posto, un Argentino molto simpatico, nota il mio disagio e mi offre una manciata di foglie di coca, che comincio a masticare religiosamente fino a che non scompare il mal di testa. Nel frattempo lo sguardo si perde in orizzonti di colori diversissimi, dalle sfumature dei grigi e dei verdi fino ad ampi spazi in cui dominano il giallo e il marrone, quasi una infinita pelle di leopardo. Il treno prosegue attraversando miniere d'argento abbandonate, vulcani basaltici neri, saline immense...
Fino al Viadotto di La Polvorilla, che lascia senza fiato.
È un viadotto curvo, lungo 224 m, in cui i binari sono alti 63 m rispetto al fondo del burrone che attraversa, unico al mondo nel suo genere. Fu costruito tra il 1930 e il 1932 dalla fabbrica italiana Monfalcone, assemblato nelle officine della compagnia Cosulich, a Trieste e testato in un vicino burrone. Successivamente fu imballato pezzo per pezzo e trasportato via nave al porto di Buenos Aires, per essere terminato di montare nel 1932.
Il viadotto fu definitivamente abilitato solo nel 1939.
Ai nostri occhi si presenta uno spettacolo incredibile, dove l'opera dell'uomo si va ad incastonare in uno scenario naturale mozzafiato: le due pareti del profondo burrone sono unite da un grande arco, sostenuto da un'impalcatura di ferro imperniata su grandi tralicci centrali che raggiungono il fondo del crepaccio a varie altezze. E' un'opera complessa e magnifica, che ribadisce la grandezza e le immense capacità della razza umana, quando ben indirizzate.
Dino
Finalmente ... bentornato
RispondiEliminaQue bien escribes, Dino!
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