Entrare in Bolivia dall'Argentina è come passare una frontiera spazio temporale, ci si ritrova proiettati immediatamente in un mondo completamente diverso.
Le due città, La Quiaca e Villazon, separate dai pochi metri della Stazione della Dogana, sono quanto di più diverso si possa immaginare: sobria e grigia la prima, superata la sbarra ci si ritrova in un mondo colorato di piccole botteghe che propongono tessuti, ponchos, artigianato, copricapi, souvenirs e paccottiglia di ogni genere dove lo sguardo rimane impressionato dai toni del rosso che domina su una miriade di altri colori. L'atmosfera ricorda i vicoli di Spaccanapoli, permeata di una umanità dedita al commercio al minuto che vive seduta sul gradino della piccola bottega. La differenza è che nessuno ti propone nulla o ti tira per la manica, ti guardano, loro sono lì ma non ti chiedono nulla, sono lì fieri del loro stato, della loro mercanzia, ma nessuno fa un gesto di incoraggiamento o ti chiede di comprare.
È un popolo duro che vive vite dure, lo impariamo presto. Man mano che ci inoltriamo nel Paese con le nostre motociclette, ci rendiamo conto di cosa significa la vita in altura, almeno per noi: l'aria è pulita e rarefatta, si viaggia costantemente dai 3500 ai 4500 metri, con punte a 4800/4900, il fiato corto è una costante e per l'acclimatamento ci vogliono giorni, settimane. Anche le moto ne risentono nonostante la carburazione sia stata regolata allo scopo: i motori fanno fatica, si "affogano" , non riescono a prendere giri a medi regimi costringendoti a una guida più nervosa, fatta di marce più basse per riuscire a prendere potenza.
I panorami sono maestosi, l'occhio si perde in spazi infiniti nei quali si alternano montagne coperte di muschio e ampie vallate deserte. I fiumi sono in secca, non incontriamo nessun corso carico d'acqua: ci spiegheranno che per la maggior parte sono riforniti dalle piogge stagionali, ma a me viene in mente Quantum of Solace, il film di 007 nel quale un imprenditore senza scrupoli legato a una organizzazione terroristica cerca di impossessarsi delle riserve d'acqua della Bolivia.
I paesini che attraversiamo esprimono una povertà desolante e condizioni igieniche quantomeno critiche: le poche strade che collegano i grandi centri sono in buona parte asfaltate, segno di un grande sforzo che il Paese sta compiendo per migliorare i collegamenti e incoraggiare il turismo, ma i centri più piccoli sono costituiti da case ammassate alla rinfusa intorno a strade bianche che diventeranno fiumi di fango durante la stagione delle piogge, con fili elettrici che pendono ovunque in mancanza di qualunque norma di sicurezza, per non parlare dello stato dei bagni pubblici. Ciononostante ci si trova davanti a un popolo fiero e consapevole della sua unicità: le donne per lo più piccole e robuste, scure di carnagione, vestono gli abiti tradizionali a colori vivaci con copricapi di varie fogge, ma non hanno alcun timore a guardarti con i seri occhi scuri e a negarti la foto, che potrebbe rubar loro l'anima.
I Boliviani sono un popolo chiuso, che ha avuto pochi contatti con l'esterno, un po' come i Cileni, che però hanno il mare che rappresenta una grande via di comunicazione e al contrario degli Argentini, che costituiscono un melting pot fatto di varie razze dovuto alle forti ondate migratorie del secolo scorso.
I Boliviani non amano raccontarsi, lasciano che parlino per loro la bellezza e il fascino del loro Paese.
Dino
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