mercoledì 23 maggio 2018

Pietro Gamba

Arriviamo ad Anzaldo percorrendo un Piedrado di 40 km, una lunga striscia di ciottoli tenuti insieme dalla sabbia, alternati a tratti di strada bianca nei segmenti ancora in costrizione.

Il paese è un incrociarsi di case basse pulite e dignitose raccolte attorno a una bella piazza con tanto di giardino e prefettura. La fondazione Pietro Gamba dista un paio di quadre e la troviamo facilmente, la casa è adiacente all'Ospedale e lui è lì che ci aspetta, ci fa entrare con le moto in giardino dove sono parcheggiate un'ambulanza e una Toyota 4x4.

Non sente nemmeno le nostre rimostranze sul fastidio che non vogliamo dargli e sulla opportunità di una invasione della sua casa da parte nostra, ma ci assegna due stanze dove poterci sistemare che sono già state prepariate con lenzuola,asciugamani, etc.

Si scusa ma la moglie Margherita è in viaggio con la più piccola delle 4 figlie ed essendo lei l'anima della casa, è in grado di garantirci solo un piatto di spaghetti.

Nemmeno il tempo di lasciare le borse e ci conduce in una casa vicina dove si festeggiano i 92 anni del sig Ignatio Cacheco, un notabile del Paese, ex insegnante e uomo di cultura molto rispettato, che ha chiesto espressamente la sua presenza.

Entriamo in un piccolo cortile dove sono apparecchiati due tavoli, in un angolo la carne cuoce su braci fumanti, in un altro le donne preparano insalata e patate sotto la cenere.

L'accoglienza è festosa, lui ci presenta e tutti ci sorridono, ci stringono le mani, ci invitano a sederci, a bere una cerveza.

Una signora ci fa alzare di nuovo e ci conduce sorridente alla porta dove ci offrono del mais fermentato da bere, che deve rappresentare una specie di cerimonia di benvenuto in casa. Poi Pietro ci riporta in cortile e ci invita a presentarci: lui farà da traduttore in spagnolo. Tutti gli astanti poi fanno lo stesso, soltanto gli uomini perché le donne non sono sedute a tavola, e così conosciamo gli esponenti di tre generazioni della famiglia, compresi quattro ragazzi con le facce pulite e le espressioni intelligenti.

Siamo entrati con l'intenzione di fare un breve saluto e di andar via, ma è impossibile: in breve ci troviamo con un bicchiere in mano e la carne nel piatto. E mentre mangiamo raccontiamo in Italo spagnolo, aiutati e tradotti da Pietro, le nostre storie, chi siamo, cosa facciamo, il viaggio, l'Italia...e poi la situazione politica in Bolivia, la discussa figura del Presidente Morales, alla guida del Paese dal 2006 in lotta per ottenere un ulteriore mandato, le sue scelte considerate demagogiche, il bisogno di cambiamento espresso da tutte le componenti di quel piccolo spaccato sociale presente nel cortile.

Salutiamo tutti, rinnoviamo gli auguri al festeggiato e andiamo via: di fronte alla casa dalla quale siamo usciti, evidentemente di estrazione elevata, una cantina dalla quale arriva la musica di una fisarmonica: Pietro ci invita ad entrare e ci ritroviamo in un ambiente spoglio, con delle panche sulle pareti, dove uomini e donne evidentemente di umile condizione, lo festeggiano come uno dei loro, ci invitano ad entrare, ci offrono ancora mais fermentato e cantano una canzone in nostro onore.

Un breve giro in ospedale, mi fa vedere una ragazza di 20 anni appena operata per una gravidanza extrauterina, " Ho dovuto chiamare un chirurgo da Cochabamba, non sapevo a che ora tu saresti arrivato, altrimenti l'avremmo operata insieme!", mi dice come fosse la cosa più normale del mondo.

Finalmente torniamo a casa, ci prepara un buon caffè e ci racconta la sua storia.

Pietro nasce a Sezzano, in provincia di Bergamo, è un perito meccanico ed è di estrazione profondamente cattolica. Alla fine degli anni '60, in quel periodo pervaso dagli ideali di pacifismo e antimilitarismo, rifiuta il servizio militare e accetta il servizio civile: tre anni di volontariato in Italia e tre anni in Bolivia ad occuparsi di infanzia nelle comunità dei campesinos, dove prende contatto con quella dura realtà fatta di lavoro in altura, stenti, freddo tutto l'anno, senza la minima assistenza sanitaria.

La sanità in Bolivia è un capitolo nero con il quale ognuno spera di non avere mai nulla a che fare. Costosissima (perché non è garantita dallo Stato), inefficiente, a tratti imbarazzante. Sono numerosissimi i racconti che avvalorano questa tesi e la cosa più drammatica è che i boliviani sembrano essersi rassegnati a questa assurda situazione.

È dello scorso gennaio un articolo apparso sulla versione online de La Razón che denuncia, senza mezzi termini, le inefficienze del sistema sanitario boliviano....

L'autrice dell'articolo commenta indignata: "Davanti a questa situazione uno si domanda: e tutta quella gente che non ha a disposizione risorse economiche deve morire?". La risposta è sì, in Bolivia le persone che non possono permettersi le cure vengono lasciate morire. È triste, è ingiusto, è inumano ma è la realtà dei fatti alla quale le persone si sono tristemente rassegnate. Il trattamento ospedaliero – anche quello pubblico – ha costi spropositati in relazione allo stipendio medio boliviano che attualmente si aggira attorno ai 290 dollari. Una situazione insostenibile per un Paese che è ancora uno dei più poveri dell'America Latina: secondo dati del 2016 il 15,8% della popolazione vive con meno di 3,10 dollari al giorno; il 9,1% con meno di 1,90 dollari....

Storie drammatiche che sono all'ordine del giorno ma alle quali si fatica a far l'abitudine. Famiglie costrette a lasciar morire i propri figli perché il costo richiesto per le cure è troppo alto; o, peggio, famiglie che, dopo aver racimolato il giusto quantitativo di denaro, vedono morire il proprio figlio per una diagnosi sbagliata o per grossolani errori da parte del personale sanitario. Sì perché il sistema sanitario boliviano non solo è costosissimo, ma è anche tremendamente inadeguato. Sarà un caso che lo stesso presidente Evo Morales Ayma nel mese di maggio andò fino a Cuba per sottoporsi ad un'operazione alla gola? O che il ministro dell'economia si rivolse direttamente a dottori brasiliani per farsi curare da una infermità ancora non dichiarata? Anche qui sono numerosissimi i casi che smascherano l'inadeguatezza dei dottori e delle strutture ospedaliere boliviane...

Qualche dato a suffragare questa non invidiabile situazione: la Bolivia risulta essere – in quanto a strutture e a fondi investiti dallo Stato – uno degli ultimi Paesi del Sud America sotto la voce sanità. Malgrado i recenti investimenti del governo Morales abbiano portato alla costruzione di 2700 consultori e 47 ospedali, secondo i dati del Banco Mundial lo stato boliviano è quello che investe meno risorse nella salute dei suoi cittadini rispetto a tutti gli altri paesi sud americani; è infatti ultimo con un totale di circa 209 dollari per persona – Cuba ne investe 817 e l'Italia 3.258 per intenderci. Il periodico Pagina Siete in un recente articolo denuncia anche una scarsa capacità di posti letto: si parla di 12.000 unità per una popolazione stimata di 11 milioni di persone (1,1 letto per mille abitanti).

Complice questa sfiducia generale nei confronti delle strutture ospedaliere e della scienza farmacologica in senso lato, molti boliviani legati alle tradizioni ancestrali continuano a rivolgersi con fede e devozione agli Yatiri o curanderos, quelli che dalle nostre parti chiameremmo sciamani. Il termine "yatiri" deriva dall'aymara e si può tradurre in "colui-che-conosce"; sono persone che vivono normalmente la vita comunitaria, con un lavoro e una famiglia. Hanno però la capacità di entrare in contatto con los espíritus del mas allá ("gli spiriti dell'aldilà), di leggere il futuro e, naturalmente, di guarire.
 
Tratto da: Dottori v/s Sciamani. La sanità in Bolivia, storie e leggende.

Davide Cavalleri, santalessandro.org, 3 agosto 2017

Durante un'epidemia di morbillo che vide molte piccole vittime e che neppure i curanderos poterono risolvere, i contadini si rivolsero a lui come ultima risorsa.

Davanti a quel dramma e alla propria inadeguatezza, Pietro decide di tornare in Italia e di iscriversi, all'età di 26 anni, al Corso di laurea in Medicina, a Padova, che termina nel 1984.

Dopo un breve periodo di tirocinio in Svizzera, nel 1985 torna in Bolivia e sceglie Anzaldo, un piccolo centro a 3000 metri di altitudine dove comincia a esercitare.

Il paese è l'epicentro di una regione tra le più povere e depresse della Bolivia, collegato a Cochabamba da una strada in pessime condizioni, sprovvisto di strutture sanitarie, privo d'elettricità e d'acqua potabile.

Pietro mette in pratica la sua precedente esperienza in comunità: riunisce periodicamente gli abitanti di Anzaldo e li convince a fondare il primo nucleo dell'Ospedale con una raccolta di fondi.

Nel 1986 da' inizio ai lavori, edificando una struttura di primo soccorso per la popolazione della zona, 12.000 persone distribuite su un'area di 1.000 chilometri quadrati.

Riesce ad ottenere un finanziamento dal Governo Italiano su un progetto per portare la corrente elettrica ad Anzaldo. Fatta una stima dei costi va a comprare il materiale in Brasile, a prezzi molto più bassi, riempie un treno che viene fermato alla frontiera; dopo una serrata trattativa con un Ministro, il treno viene sbloccato e in breve vengono realizzati sia la linea elettrica che un vero piccolo Ospedale.

Nel 1991 sposa Margarita Torrez, una dottoressa in Biochimica d'origine boliviana, che dà tutt'oggi un importante contributo al lavoro dell'Ospedale e che gli ha dato 4 figlie.

Nello stesso tempo costruisce una sala operatoria attrezzata e si inaugura il nuovo acquedotto per aumentare e rendere potabile l'acqua nel paese.

Nel 1997, grazie anche all'appoggio di alcuni sostenitori svizzeri, viene realizzato un Centro diagnostico polifunzionale.

La carenza più grave dell'inesistente servizio sanitario pubblico boliviano è la chirurgia: Pietro impara a somministrare l'anestesia generale e periferica e mette in piedi un vero servizio di Chirurgia d'Urgenza. Alla Fondazione Pietro Gamba si rivolgono oggi gli abitanti del circondario ma anche pazienti che vengono da regioni più lontane, che non si fidano delle prestazioni degli ospedali governativi, o che non hanno abbastanza denaro da poterne pagare le prestazioni.

Oggi l'Ospedale della Fondazione Pietro Gamba è una realtà riconosciuta nel panorama sanitario boliviano, grazie all'impegno a 360 gradi che Pietro e i suoi collaboratori continuano a profondervi quotidianamente.

Dino





















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