mercoledì 30 maggio 2018

La Bolivia di Evo

L'abbiamo percorso migliaia di km in Bolivia, apprezzandone le incredibili bellezze naturali e gli immensi spazi. Abbiamo visitato villaggi poveri dalle case scrostate e cadenti, piccoli centri nati attorno a grandi bellezze naturali e cresciuti a dismisura senza alcuna regola urbanistica o architettonica, grandi città caotiche strangolate dal traffico e dallo smog, il tutto a configurare un Paese pieno di contraddizioni.

Nel nostro viaggio abbiamo incontrato su ogni muro libero, su ogni parete o cippo di strada, la scritta "Evo si!"ripetuta centinaia, migliaia di volte, intervallata da grandi manifesti inneggianti al Presidente Evo Morales e a quanto ha fatto per la Bolivia, fino a far identificare la sua immagine con quella del Paese.

Evo Morales, leader del Movimiento al Socialismo (MAS), è Presidente della Bolivia dal gennaio 2006 e sta espletando il suo terzo mandato consecutivo, per conseguire il quale ha già cambiato la Costituzione che prevedeva il Presidente fosse eleggibile non più di due volte.

Nel 2016 un referendum su un'ulteriore modifica della costituzione che gli avrebbe consentito un quarto mandato e forse la Presidenza a vita, ha bocciato questa possibilità con il 51% dei voti. Malgrado ciò , di recente il Tribunale Costituzionale lo ha autorizzato a ricandidarsi alle elezioni presidenziali per la quarta volta nel 2019.

Nato in una famiglia povera nel 1959, Morales è di origine indigena. Non si è mai laureato e ha lavorato a lungo come raccoglitore di coca, diventando in seguito il leader del sindacato dei cocaleros, cosa che gli ha spalancato le porte della politica portandolo fino alla Presidenza.

L'arrivo di Morales a Palazzo Quemado nel 2006 ha dato il via a una rivoluzione democratica che ha messo a soqquadro il Paese, travolgendo l'oligarchia bianca e filoamericana a favore della maggioranza di indios e meticci, i due terzi della popolazione.

Tra i primi provvedimenti dopo il suo insediamento, il neopresidente emanò un decreto che imponeva la nazionalizzazione di tutte le riserve di gas naturale: dopo aver ordinato all'esercito e ai tecnici della YPFB, la compagnia di stato, di occupare gli impianti energetici, concesse alle compagnie straniere un "periodo di transizione" di sei mesi per rinegoziare i contratti o venire espulse.

Lo scopo dichiarato era di usare la ricchezza costituita dagli idrocarburi per sostenere le politiche sociali: l'utile per lo Stato passò in breve da 300 a 1.600 milioni di dollari l'anno, ridistribuiti tra amministrazioni locali, università e tesoro.

Da allora però non sono state più messe in atto politiche di investimento adeguate per favorire le esplorazioni e lo sfruttamento di nuovi giacimenti di gas: oggi esiste la reale possibilità che la Bolivia non riesca a onorare i contratti di esportazione di gas con Brasile e Argentina.

Nel febbraio 2009 il salario minimo veniva portato da 440 a 667 bolivianos: tuttavia in Bolivia 6 lavoratori su 10 lavorano in nero, cosa che ha limitato fortemente l'impatto di questo provvedimento.

La gestione Morales ha triplicato la spesa pubblica, dedicata principalmente a finanziare programmi sociali e sussidi alla parte più povera della popolazione, mentre il PIL del paese è cresciuto di pari passo.

Queste politiche sociali hanno portato a risultati significativi: tra il 2006 e il 2011 i poveri sono passati dal 60 al 45% della popolazione. Il reddito medio delle famiglie meno abbienti ha mostrato significativi miglioramenti e le diseguaglianze nel paese sono diminuite.

Gli sforzi per migliorare il sistema educativo hanno prodotto la dichiarazione dell'UNESCO del 2008 di una Bolivia libera dall'analfabetismo.

Tutto oro quello che luce? Neanche per idea.

Il governo Morales viene accusato infatti di perseguire scelte populiste, con elargizioni di denaro pubblico ai meno abbienti, senza un reale progetto di rinnovamento basato su riforme strutturali.

Per esempio:

il bono Juancito Pinto, dedicato all'eroe bambino della Guerra del Pacifico nella seconda metà dell'Ottocento contro il Cile. Il bono è finalizzato a sostenere l'acquisto del materiale scolastico con 200 bolivares (equivalenti a 20 euro), dati ai genitori per ogni figlio che frequenta le scuole elementari.

il bono para las madres y los niños. Questo bono consiste in 50 bolivares da consegnare alle puerpere ogni volta si sottopongono a visite di controllo (fino a quattro), 120 boliviani se partoriscono in strutture mediche nazionali, 125 boliviani a ogni visita di controllo (una ogni due mesi) dei nati fino al secondo anno di vita.

A questo riguardo è da tenere ben presente che esiste una rete di ospedali pubblici ma non un servizio sanitario nazionale: vale a dire che i Boliviani sono costretti a pagarsi cure mediche e interventi chirurgici, anche in urgenza, con costi gravosi e non rapportabili al salario minimo. Ciò sta crudelmente a significare che in Bolivia ancora oggi, se non si è in grado di pagarsi le cure, semplicemente si muore.

I nostri amici di Anzaldo ci hanno raccontato di Ospedali pubblici dove funziona solo la burocrazia, di una classe medica poco preparata e dedita al lucro, di una giustizia corrotta, di un fiorente mercato della droga, di provvedimenti legislativi demagogici.

Nel 2017 Morales aveva dichiarato di voler obbligare gli imprenditori a corrispondere la 14ma mensilità se gli utili fossero stati corrispondenti all'aumento del PIL. Nel 2018, in vista delle elezioni il prossimo anno e smentendo quanto dichiarato in precedenza, ha obbligato gli imprenditori grandi e piccoli a corrispondere la 14ma in ogni caso, spargendo il panico.

Su tutto questo aleggia la questione cocaina: Morales afferma che masticare foglie di coca è stata una tradizione per più di mille anni fra le popolazioni indigene dell'America Latina, fra cui le popolazioni Aymara e Quechua, dalle quali egli stesso proviene, che le considerano sacre. Il suo relativo basso effetto narcotico consente ai poveri del paese di lavorare tutta la giornata, che può durare anche quindici o diciotto ore.

Tale affermazione è solo parzialmente vera. L'uso delle foglie di coca è certamente molto antico ma non era un bene di largo consumo, nemmeno in epoca Inca, quando questo era strettamente riservato alla teocrazia.

Nonostante le dichiarazioni pubbliche di lotta alla cocaina, la riduzione dei controlli sul commercio di foglie di coca e il parziale blocco ai programmi di eradicazione volontaria delle coltivazioni (che sono cresciute da un minimo storico di circa 15 000 ettari, nel 2000, agli attuali 30 000) stanno riportando in auge la produzione e il commercio illegale della droga.

Nelle foreste del Chapare si procede all'essiccamento e sminuzzamento delle foglie e alla fabbricazione della pasta base di cocaina. Questa viene poi trasferita nei laboratori di cristallizzazione in aree urbane, dove il trasporto delle sostanze chimiche usate per la sintesi della droga risulta agevole e senza controlli.

In ultima analisi il risultato più evidente conseguito da Morales sta nell'incremento delle entrate statali lecite e non: da diversi anni è in corso un vero e proprio boom dei prezzi delle materie prime esportate dalla Bolivia (petrolio e semi di soia legalmente, foglie di coca e cocaina illegalmente), responsabile di gran parte della crescita economica del Paese.

A fronte di questo si ha l'impressione di una mancanza totale di politiche di investimento e di riforme profonde.

Come il Venezuela ubriaco di petrolio, la Bolivia oggi importa troppo grazie all'opulenza del suo bilancio statale, ma produce troppo poco. Ci sono già preoccupanti segni di flessione nel mercato delle esportazioni e lo spettro della crisi del modello boliviano potrebbe essere dietro l'angolo.

Dino

















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