Tornare a Paso Roballos per noi è una sorta di pellegrinaggio, date le emozioni che ci ha riservato lo scorso anno e la grande avventura che ci ha fatto vivere (cfr. Rieccoci! e Rieccoci! - Parte 2). Decidiamo di non fermarci a Bajo Caracoles se non per far benzina, e facciamo bene: l'ebete che serviva alla pompa lo scorso anno, ora gestisce lo squallido bar facendo pagare a peso d'oro anche l'aria che si respira, ivi compresa la connessione Wi-Fi per mezz'ora, della quale siamo privi da due giorni. Un peccato che per una manciata di pesos vada perdendo la sua caratteristica un po' romantica di non luogo, di incrocio di strade che vanno verso il nulla, dove comunque la gente si incontra e si racconta. Riprendiamo la via per Pousadas su un ripio accattivante che ci porta sulla sponda occidentale del lago e alla grande onta di cadere in un banco di sabbia, per fortuna senza conseguenze.
All'indomani mattina partiamo diretti al versante orientale del lago Pousadas che è tutt'uno con il lago Cochrane. Un istmo, una sottile lingua di terra divide le acque di un tenue verde smeraldo da una parte, di un blu intenso dall'altra, calma la prima, densa di baffi bianchi spinti dal vento la seconda.
Siamo alla ricerca di una pista appena accennata sulle mappe che porti al Paso Roballos: imbocchiamo un sentiero di capre che segue il bordo del lago e porta verso il nulla su una spiaggia di ghiaia dove la moto di Claudio si arena; lui ci fa cenno di fermarci, poi con calma riesce a uscirne.
Torniamo indietro e ne imbocchiamo un secondo, attraversiamo diversi cancelli che interrompono lunghi recinti per arrivare ancora in un fondo cieco.
A questo punto la prospettiva è di ripercorrere a ritroso i 60 km fino a Pousadas per farne altri 80 fino al Paso Roballos, ma i miei compagni di avventura mi sorprendono ancora una volta, Franco trova un minuscolo sentiero che si arrampica serpeggiando verso quella che lui ritiene essere la direzione giusta; lo imbocca senza esitazioni, Claudio lo segue e io non posso far altro che imitarli.
Altro che ripio, cominciamo un vero percorso da cross lungo un sentiero tracciato solo parzialmente, inerpicandoci come delle capre motorizzate, in prima con un continuo gioco di freno e frizione con le nostre stupefacenti Dominator che non fanno una piega e ci assecondano in quella follia. Perché mi sembra che di follia si tratti, il continuare a inerpicarsi in quella maniera verso il nulla senza sapere se si potrà eventualmente tornare indietro, rischiando di stare in sella con una fatica disumana in una tensione costante mettendo alla prova muscoli e motori per poi magari scoprire che non si va da nessuna parte ed essere costretti a tornare indietro raddoppiando la fatica e le difficoltà.
Ma i miei compagni sono coraggiosi sicuri e testardi e non mollano, e io non posso essere da meno. Il sentiero diventa un piccolo ripio, che va ad allargarsi leggermente, a un bivio prendiamo la pista migliore, ma Franco sostiene che non è la direzione giusta: entrambi consultano mappe dove questi viottoli non sono riportati, poi un qualche programma sul telefonino e riprendiamo la via che ritengono sia giusta. Dopo vari bivi che i due imboccano senza esitare, ci ritroviamo davanti a un cartello, l'unico che abbiamo visto in tre ore di inerpicata: Paso Roballos 20 km.
Grande vittoria e massima esultanza dei tre Italian Bikers che ormai sono un bel gruppo affiatato.
Claudio l'ingegnere, il comandante, il razionale, l'ideatore del progetto, il grande programmatore, quello che non raggiunge la perfezione ma con un po' di piaggeria e l'ironia tutta napoletana ammette che ci si avvicina molto, quello che è sempre organizzato anche nei più minimi dettagli, quello che è l'estetica della moto, senza nulla fuori posto, quello che è l'esperto di meccanica, quello che si prende cura di tutti e tre i mezzi, quello che sa tutto e tutto prevede, quello che guida composto come pochi, quello che è il più esperto nel fuoristrada, quello che studia lo spagnolo, quello che sa sempre dove siamo e quanti chilometri abbiamo fatto e dovremo fare, quello che....
Franco l'informatico, il naive, l'anarchico, l'entusiasta, l'istintivo, l'estemporaneo, il razionale, la fantasia al potere, quello che con un telefonino riesce a far tutto meno la spremuta d'arancia, quello che ha ideato e realizzato il blog insieme a Pezzin (in realtà il blog l'ha pensato, realizzato e mantenuto il grande Pezzin, che freme con noi ma a distanza, "rubando" le notti al suo sonno, n.d.r.) quello che riesce a orientarsi in qualunque situazione, quello che ha sempre una battuta per sdrammatizzare, quello che fa le foto, quello che rimane indietro, quello che ogni tanto lo perdiamo, quello che fa sempre di testa sua, quello che va sotto la doccia per primo, quello che mischia con l'acqua dell'ottimo Malbec, quello che non ha la moto in Italia ma che qui e il più veloce sul ripio, quello che apre l'ufficio in tutti i posti dove dormiamo, cioè occupa con la sua roba sparsa tutti gli spazi possibili adiacenti alla stanza, quello che ha energie sconfinate e ne ha sempre di riserva quando gli altri hanno finito la propria, quello che non riesce a star fermo, mai...
Poi ci sono io Dino, il dottore anzi il Professore come mi chiamano loro per prendermi in giro, quello che tutti speriamo non serva mai, ma che se dovesse servire meno male che c'è, quello che è come il dottore di bordo, che pranza in quadrato con il comandante e suona il violino la sera, io non suono ma magari mi cimento nello scrivere.
Arriviamo al Paso Roballos, 70 km in 4 ore, la pista che abbiamo percorso non si vede nemmeno dal satellite, la Patagonia sta riuscendo a fare di noi dei veri esperti di fuoristrada.
Il Paso è il nostro premio: lo abbiamo già attraversato lo scorso anno in direzione inversa ma, come ci aspettavamo non delude: la bellezza dei panorami è maestosa, i colori stupendi, il mare d'erba danza al ritmo delle raffiche, le montagne scure ci guardano stagliate sul verde dei campi incolti e del muschio spesso che ricopre completamente le colline, a ogni curva uno scorcio diverso, bisognerebbe fare migliaia di foto che pure non riuscirebbero a raccontare l'aspra bellezza di questo posto, i suoi spazi immensi che si perdono nei silenzi rotti dal fruscio del vento che a volte sussurra a volte urla. Siamo soli, non incontriamo anima viva per chilometri, solo i tanti guanacos ci guardano severi dal ciglio della pista, gli occhi piccoli nelle piccole teste su quei corpi grandi dalle movenze eleganti, la corsa che sembra una danza, tutta salti, sembra non tocchino terra. Spesso attraversano la pista con un balzo a coppie o in gruppo, altre volte si fermano a guardarci, probabilmente impressionati dal rumore delle moto, al quale non sono abituati. E' una magia che si ripete a ogni curva, sono decine e decine, si muovono a sciami, con grandi agili balzi, ti consentono appena di posare lo sguardo su di loro e già sono da un'altra parte.
Inizia la discesa verso Cochrane, addio Roballos, rimarrai per sempre nei nostri occhi e nei nostri cuori, domani ci attende la Carretera Austral.
La descrizione di Claudio è perfetta. In viaggio è sempre stato garanzia di sicurezza ed efficienza.
RispondiElimina