sabato 25 febbraio 2017

Miti, leggende e santi fatti in casa

Percorriamo la Quebrata Miranda, tra la sierra di Sanogasta e la sierra di Famatina, sulla 40 norte, diretti a nord, a Chilecico.
Lo spettacolo è dominato dal colore rosso che mostrano le viscere di queste aspre colline, violentate dai profondi squarci che ora ospitano il nastro  d'asfalto, sinuoso e spesso invaso dalle frane, tentativo della terra di riprendersi cio' che è suo, cercando con la strada un abbraccio mortale. 
All'ultima curva, su un piccolo poggio, un tempietto che in realtà è poco più di un'edicola votiva circondata da bottiglie di plastica ripiene d'acqua di  tutte le fogge e misure. 
Non è la prima volta che noto questa specie di rozzo tributo votivo, come anche piccole edicole circondate da panni rossi appesi ovunque a decine, che abbiamo incontrato molte volte sulle strade d'Argentina, dal profondo della  Tierra del Fuego fino al grande Norte, dove siamo diretti.
Ci fermiamo a fare rifornimento e a mangiare qualcosa: Rafael, il gestore del bar parla un po' di Italiano, ci mettiamo a chiacchierare, gli chiedo di quelle edicole e delle bottiglie.
Si siede con noi, un sorso di birra, e ci racconta che quei rozzi altari sul ciglio delle strade sono opere votive dedicate alla "Difunta Correa".
Stimolato dai nostri sguardi curiosi comincia a raccontare.
La Difunta Correa rappresenta uno degli oggetti di culto religioso spontaneo più radicate in Argentina: questa figura viene venerata da centinaia di migliaia di devoti per la sua tragica storia dai confini incerti tra realtà e fantasia popolare. 
Dopo la dichiarazione di indipendenza l'Argentina fu squassata da una serie di guerre civili che durarono diversi decenni. La storia racconta che  intorno all'anno 1835 un creolo di nome Bustos fosse reclutato nell'esercito dei montoneros  al comando di Facundo Quiroga, che si opponeva allo strapotere del governo federale di Buenos Aires.
Sua moglie, Maria Antonia Deodolinda Correa era una donna di eccezionale bellezza che viveva nella provincia di San Juan.  Per difendere la sua virtù insidiata dai maggiorenti del luogo, decise di fuggire nottetempo a piedi per raggiungere il marito con in braccio il figlio di pochi mesi.
Nell'attraversare le valli desertiche del Cuyo rimase senza cibo ne' acqua e alla fine, stremata dalla sete, si  lasciò cadere alle pendici delle montagne. Prima di morire rivolse una preghiera al Signore perché concedesse del latte al suo seno per salvare la vita di suo figlio. 
Quando giorni dopo il corpo fu ritrovato, agli occhi dei viandanti apparve una scena straziante che fu interpretata come un miracolo: il bambino era ancora vivo, ed era sopravvissuto grazie al latte che ancora sgorgava dal seno della defunta. Le fu data degna sepoltura, e iniziarono quasi subito le visite alla sua tomba.  Oggi a Vallecito c'è un vero santuario, oggetto di pellegrinaggio di migliaia di fedeli, ma il vero culto si avverte sulle strade, dove automobilisti e camionisti costruiscono questi piccoli altari davanti ai quali depositano ogni giorno centinaia di bottiglie d'acqua. 
La venerazione della Difunta Correa, nonostante non sia mai stata accettata dalla Chiesa ufficiale che, anzi, l'ha ampiamente scoraggiata etichettandola come superstizione popolare, prosegue viva e intensa, con moltissime visite,  deposizione di ex voto di quanti hanno avuto una grazia e sopratutto con tante, tante bottiglie d'acqua. 
Rafael, il gestore del bar, sorride compiaciuto, e io gli chiedo: -E quei pezzi di stoffa rossa che si incontrano dappertutto, appesi ai rami degli alberi o piantati su bastoni come bandiere?  
Un altro sorso di birra, un altro sorriso e un altra storia: 
-Quelli sono omaggi  al  Gauchito Gil, un eroe nazional-popolare che in tutta l'Argentina viene venerato come un santo.
Antonio Mamerto Gil Núñez, diventato famoso come il "Gauchito Gil", nacque intorno al 1840 a Pay Ubre, la moderna Mercedes, un piccolo paesino della provincia di Corrientes, ai confini con Brasile e Paraguay, intorno al 1840.
Mentre molte incertezze si ascoltano sulla sua vita, c'è completa unanimità sul giorno della sua morte, che avvenne l'8 gennaio di un anno imprecisato, forse il 1878.
Della sua vita si racconta che fosse un bracciante sfruttato che si ribellò al suo padrone e che andò a combattere nella Guerra della Triple Alleanza contro il Paraguay (1864-1870) agli ordini del Generale Madariaga. Secondo altri  a questa decisione fu costretto perché era l'amante di una donna molto ricca, della quale si era invaghito anche il comandante  della polizia locale: questi lo obbligò a lasciare la  città e ad arruolarsi come volontario.
Successivamente fu reclutato dal partito Liberale – i "Rossi"- per combattere nella guerra civile contro il partito Autonomista – i "Celesti".
Quale che sia la vera storia, el Gauchito Gil rifiutò di partecipare a quel massacro di povera gente come lui  e fini' col disertare. Braccato come un animale prese la via dei monti dove riuscì a sopravvivere per diversi anni  assaltando carrozze e convogli dei ricchi, distribuendo ai poveri  il frutto  dei suoi furti e curando i malati con le proprie mani.
Questo fu il Gauchito Gil, il Robin Hood sudamericano, un bandito dal cuore d'oro e dalla camicia rossa, il difensore degli oppressi che il popolo adorava.
Un brutto giorno però fu arrestato dai gendarmi e appeso per i piedi. 
Poco prima di venire giustiziato chiese al boia di prendere tempo poiché sentiva che la grazia stava per arrivare, ma il boia si rifiutò di attendere. Gil gli predisse allora che al  ritorno a casa avrebbe trovato suo figlio gravemente ammalato e  che si sarebbe salvato solo se avesse pregato nel suo nome. Il boia non gli prestò ascolto e gli taglio' la gola, ma a sera  a casa trovo' che le cose esattamente quanto gli aveva predetto il Gauchito: allora pregò in suo nome e il figlio guari'. Diede degna sepoltura ai resti di Gil e in quel luogo sorse il santuario, ancora oggi precario e povero, costruito dagli stessi fedeli e con alcune piccole donazioni anonime, ma molto frequentato. 
Nella ricorrenza del giorno della sua morte, l'8 gennaio, migliaia di persone confluiscono da  ogni parte del Paese nel santuario di  Mercedes, percorrendo anche migliaia di chilometri nella speranza di ottenere attraverso la sua intercessione il miracolo che  può cancellare le sofferenze di una vita.
Il pellegrinaggio al Santuario non è  l'unica manifestazione di devozione che i campesinos e la povera gente hanno per  il Robin Hood criollo dai poteri sovrannaturali: migliaia sono gli altari sparsi lungo le strade di questo immenso Paese e innumerevoli sono i pezzi di stoffa rossa, il suo colore simbolo, appesi ovunque ai rami degli alberi o ai lati delle edicole votive. 
Il popolo lo venera e col tempo e' diventato il protettore dei viaggiatori, di quelli come noi, che debbono risalire in sella, salutiamo e ringraziamo Rafael, la strada ci aspetta. 

Dino

sabato 18 febbraio 2017

Abbiamo percorso...

Abbiamo percorso migliaia di chilometri sulle strade d'Argentina, prima da nord a sud sulla ruta 3 e poi sulla mitica ruta 40 fino a Ushuaia, poi in senso inverso ripartendo dalla  "fin del mundo" diretti a nord, ancora sulla 40, attraversando questo immenso Paese grande 9 volte l'Italia, fino ad arrivare a Salta, la città più settentrionale, anticamera della Bolivia.
Abbiamo attraversato le Ande tante volte per percorrere quasi tutta la Carretera Austral, in Cile, che ci ha incantato con i suoi paesaggi spettacolari, fatti di montagne imponenti, di ghiacciai, di boschi, di laghi e di fiumi impetuosi e gonfi d'acqua.
Siamo stati a Chiloe', patria di falegnami e navigatori, l'isola delle chiese di legno e delle leggende marinare, dove l'oceano è vissuto come un'opportunità.
Le nostre motociclette hanno divorato distanze che ci sono sembrate infinite, con fondi stradali di tutti i generi, dall'asfalto al ripio più maligno, cieli con nuvole basse o con il sole cocente, piegati dal vento o bagnati dalla pioggia, sfidando il caldo, il freddo, la polvere, la mancanza di benzina.
Abbiamo cavalcato la Patagonia e nei lunghi tratti ipnotici di strade dritte che si perdono tra la pampa infinita, le nostre ombre sembravano correre nell'immaginario insieme a quelle di Butch Cassidy e di Sundance Kid, protagonisti di un'epopea narrata da queste terre fin dai primi del Novecento.
Dopo le emozioni forti vissute in Patagonia a cavallo delle Ande non avevamo più molte aspettative, e invece la mitica ruta 40 norte ci ha sorpreso ancora. Ci siamo incantati nella valle del Rio Miranda tra le viscere di colline rosse squarciate dalla mano dell'uomo, coperte di muschio verde, con il grigio delle montagne sullo sfondo e candide nubi dense come panna montata nel cielo azzurro; ci siamo fermati a guardare le nuvole arancio nel tramonto del Nequem e poi... l'altopiano di Mendoza con i suoi immensi vigneti, la Ruta 150 per il parco di Ishiguasto che attraversa la Valle della Luna, la deliziosa Cafayate, seconda solo a Mendoza in tema di vino e vita dolce, la Ruta 68 per Salta, solo 190 km ma per percorrere i primi trenta si impiegano due ore e seimila fotografie per la bellezza e la varietà degli spettacoli dietro ogni curva. E ancora Salta "la linda", a 1200 metri d'altezza, con i suoi palazzi, le chiese i conventi, ma soprattutto la vita semplice, l'aria serena di provincia piacevole, la gente per strada di giorno e di notte, le penas, dove si possono gustare lomo e asado cucinati su griglie enormi, mentre suonatori e cantanti spontanei, vecchi e giovani, venuti là per mangiare bere ed esibirsi, intonano canzoni della tradizione popolare argentina, accompagnati da tutti i commensali con il battito delle mani; e ancora la valle di Huachaco, a nord, sulla splendida ruta 9, e Tilcara con il sito archeologico e Purmamarca, il villaggio di fango rosso con il Cierro dei sette colori...
E Cachi, il Salar de l'Hombre Muerto, San Antonio de los Cobres, a quasi 4000 metri di altitudine, la parte finale della Ruta 40 Norte che porta al confine boliviano, tutta ripio maligno e natura mozzafiato...

La proxima ves.

Dino




















mercoledì 15 febbraio 2017

Laura

A Mendoza ci aspetta Laura, amica di Claudio, che ci ha offerto ospitalità in due mini appartamenti al centro di Mendoza, che ha ristrutturato con l'intenzione di affittarli ai turisti. L'intenzione, appunto, perché sono intonsi, pulitissimi, arredati con gusto e mai abitati. Sono stati infatti appena messi sul sito di airb&b e Laura ha fatto le corse per farceli trovare pronti al nostro arrivo. Sono una vera meraviglia, soprattutto per noi uomini duri, abituati da un mese a dormire nelle peggiori stamberghe d'Argentina in camere a tre letti con i bagagli ammucchiati e Franco che sparge le sue cose in corridoio.
Ci aspetta in casa insieme alle nipotine, Maria e Maxima, due ragazzine deliziose che l'hanno aiutata a sistemare gli appartamenti in nostra attesa.
Laura è una dolce signora dai lunghi capelli neri che incorniciano un viso dai tratti decisi, con gli occhi in continuo movimento e le labbra sempre pronte al sorriso. Ha un bel viso aperto, cordiale, accogliente, i segni d'espressione raccontano una vita sofferta e non sempre facile, lo sguardo non riesce a nascondere un po' di malinconia ma si accende subito d'energia e di gioia anche di fronte a due completi sconosciuti come noi.
Ci incontriamo a cena con lei e Gustavo, il suo compagno, e ci racconta che si è sempre occupata di vino e di cantine, come testimonia il meraviglioso Quimera 2012 che ci fa gustare, un nome che la dice lunga su come si stia sviluppando la conoscenza enologica da queste parti. 
Laura ne aspira il profumo intenso e i suoi occhi si illuminano, il viso si distende in un luminoso sorriso.
Ci racconta della storia del vino in Argentina, della sua introduzione ad opera dei gesuiti, delle varie contaminazioni che subì con l'arrivo degli immigranti e di come contribuì a forgiare l'identità stessa della gente di queste parti. 
A Mendoza più di 1.200 cantine producono il 70% del vino del Paese: è una terra perfetta, lungo la Ruta 40 Norte, dove il culto di Bacco si combina con l'avventura, la storia e i costumi di un popolo unico. 
Il Malbec è diventato in pochi anni un brand tutto argentino, un vino che riesce a rappresentare le emozioni che questa terra sconfinata e ostile, aspra, generosa e magnifica è in grado di suscitare.
In Francia, dove trae le sue origini, il Malbec viene considerato componente di secondo piano dell'uvaggio; in effetti in Europa questo vitigno non si è imposto, mentre la terra d'Argentina gli ha offerto clima e condizioni assai favorevoli.
A Mendoza ha trovato la sua massima espressione nella combinazione di diversi suoli e varietà di clima: per sviluppare tutte le sue virtù, quest'uva richiede una forte differenza di temperatura tra giorno e notte che solo qui si può trovare. La grande escursione termica legata all'altura induce gli acini a sviluppare una scorza particolarmente spessa, che conferisce al Malbec argentino le sue caratteristiche principali: il profumo etereo, sensuale e sorprendente e il suo sapore unico. 
Un vino forte, a tratti aspro, ma generoso e gentile come la terra che rappresenta. 
Continua a parlare, Laura, a raccontarci la passione per la sua terra e per quel suo frutto, una creatura cresciuta in meno di due decenni e che è ormai diventata una realtà riconosciuta in tutto il mondo. Ne parla con l'orgoglio dell'appartenenza, lei che ha tanto sangue italiano nelle vene e che ama l'Italia come solo gli Argentini sanno fare, ne parla con una passione che fa vibrare le sue corde profonde, le mani che solcano l'aria in una gestualità latina, a sottolineare la gioia di essere la' con noi, buon cibo, buon vino, buona compagnia.
Nell'aria fresca della notte un profumo di rose. 
La vita è adesso.

Dino












martedì 14 febbraio 2017

La valle rossa

Ripartiamo dal minuscolo paesino di Husco diretti a est per visitare due parchi naturali che troviamo entrambi chiusi per le abbondanti piogge del giorno precedente. Sono parchi enormi che si visitano con mezzi propri in carovana dietro a una guida e evidentemente il tracciato diventa così pieno di fango da risultare impraticabile. Riprendiamo un po' delusi la nostra rotta verso nord, consolandoci con l'aver percorso la magnifica 150 disegnata con larghe curve in mezzo a canyons e paesaggi lunari che ci hanno riempito gli occhi per buona parte della mattina. La polizia ci ferma per un controllo, hanno sempre un atteggiamento molto amichevole nei nostri confronti che noi ovviamente ricambiamo. Mentre registrano i documenti ci chiedono del viaggio, delle città di provenienza, delle moto, delle prossime mete. Ci consigliano una deviazione che ci farebbe risparmiare 40 km, ovviamente è un ripio ma bueno, ma per gli Argentini il ripio e sempre bueno, loro lo affrontano in macchina con le 4x4 i finestrini chiusi e l'aria condizionata ed è veramente un'altra cosa! Comunque scegliamo il ripio, ancora una volta che in effetti non è dei più maligni ma, dopo nemmeno un chilometro ci dobbiamo fermare: la strada è allagata. Esame della situazione e decisione: si va avanti e uno alla volta guadiamo lo specchio limaccioso con l'acqua al di sotto dei mozzi delle ruote ma con un fondo assai insidioso. Ripartiamo dopo aver commentato il concetto dì bueno dei nostri amici poliziotti e dopo poche centinai di metri siamo costretti a fermarci di nuovo: questa volta la strada per tutta la sua larghezza e per circa 30 metri di lunghezza e completamente invasa da una spessa coltre di fango rosso poltaceo, denso piuttosto profondo.

Attraversiamo anche quello, uno alla volta, non senza qualche difficoltà, mettendo la ruota nel solco di chi ci ha preceduto e andando avanti con grande cautela. 
Poi la valle rossa: una serie ininterrotta di colline, alcune tagliate dalla strada che le attraversa, i bordi creano un effetto ottico man mano che la moto di avvicina, sembrano le ali di un sipario che gradatamente si apre svelando lo scenario successivo. Le curve di susseguono dolci, l'asfalto grigio, la doppia riga al centro gialla, i bordi della strada rossi di terra di risulta, il ventre aperto delle colline ancora rosso, poi il verde del muschio che tutto ricopre e sullo sfondo il grigio intenso delle montagne imponenti e il cielo blu, con fiocchi di nuvole bianche.

Uno spettacolo.

Dino
















lunedì 13 febbraio 2017

Ripio, ti abbiamo scelto

Sbarcati del traghetto da Chiloe' dirigiamo prima a nord poi a est verso la regione di Entre Lagos diretti al passo Cardinal A Samoure'. La giornata è limpida, i motori cantano, le ruote volano sull'asfalto; la strada comincia a salire gradatamente fino alla frontiera cilena, passata la quale la pendenza si fa più decisa. Il verde scuro del bosco che il nastro d'asfalto attraversa come un lungo taglio tortuoso, cambia improvvisamente per far posto a un grigio assoluto da foresta pietrificata: per chilometri e chilometri, a perdita d'occhio, si continua a salire tra alberi scheletrici e rami inceneriti, in un paesaggio da fine del mondo, conseguenza della terribile eruzione del vulcano Puyehue che trasformò migliaia di ettari di umida foresta in un paesaggio lunare di dune, sabbia e alberi bruciati. 
Saltiamo la coda infinita di auto per arrivare agli uffici della dogana argentina, non senza qualche piccola protesta, e in un'ora siamo al di là della frontiera, su un nastro d'asfalto che degrada dolcemente in mezzo al verde e che ci porterà a Villa Langostura per passare la notte.
Sulla via per Bariloche dove arriveremo da nord, realizziamo che la famosa ruta dei Siete Lagos parte proprio da Villa Langostura: per percorrerla saremo quindi costretti a rifare la strada a ritroso dopo aver visitato Bariloche. La quale in realtà ci delude parecchio: dopo aver vissuto per tre settimane in grandi spazi immersi nella natura, questa città rumorosa, sporca e caotica non ci ispira granché, anche se è situata in riva al lago in una posizione bellissima. In realta ci aspettavamo una specie di Cortina d'Ampezzo, invece è tutt'altro, e una vera città con traffico, rumori, scappamenti, macchine in coda e quant'altro andiamo rifuggendo da quando siamo partiti. Scappiamo quindi, ma decidiamo di non ripercorrere la strada confortevole per la quale siamo arrivati, ma di risalire verso nord sulla 237 lungo il versante est del parco Nahuel Huapi attraversando quella che poi scopriremo essere denominata la Valle Encantada. Un lungo ripio ci farà poi attraversare il parco verso ovest ricollegandoci alla via dei 7 laghi che ci porterà a San Martin de los Andes. La valle è encantada di nome e di fatto: la strada corre liscia, veloce e senza traffico lungo un piccolo fiume, il Rio Limay che offre scorci bellissimi con lo sfondo di montagne maestose. L'occhio non si sazia mai, dietro ogni curva c'è uno spettacolo diverso e magnifico, una cosa da togliere il fiato. La strada che abbiamo percorso per arrivare a Bariloche e senz'altro bella, corre lungo il lago Nahuel Huapi con dei panorami di tutto rispetto; ma questa 237 è veramente la strada delle meraviglie, niente di paragonabile, una serie di emozioni infinite.
Arriviamo al ripio che si dirige verso ovest: questa volta siamo stati noi a scegliere di percorrerlo, non lo abbiamo subito passivamente con le facce preoccupate di chi affronta l'ignoto per mancanza di alternative. E il ripio premia la nostra scelta facendoci attraversare il parco e costeggiare il lago Traful, offrendoci spettacoli meravigliosi. Ci fermiamo a un mirador dove familiarizziamo con un gruppone di Argentini di Buenos Aires di origine italiana che ci fa un sacco di feste. Il ripio ovviamente non ci regala nulla, è impegnativo e polveroso, ma bello e stimolante e lo percorriamo con gioia immersi in tutte quelle meraviglie. Quando imbocchiamo la via dei sette laghi con le giacche e i pantaloni bianchi di polvere abbiamo visto così tante bellezze selvagge che i panorami di quella che è considerata una delle strade più scenografiche del mondo, quasi non ci impressionano più . E tutto molto bello ma sa un po' di cartolina, di pullman che scaricano uomini con i sandali e signore dai capelli viola che scattano tutti le stesse foto e si rivedranno forse tornati a casa per scambiarsi le medesime inquadrature o i sorrisi in posa davanti al panorama. Tutto bellissimo ma veleggiamo rapidi verso San Martin de Los Andes che al contrario di Bariloche non delude: è un paesino affascinante, delizioso, ordinato e pulito, adagiato sulle rive del magnifico lago Lacar con un piccolo porto turistico pieno di barche a vela che lo fa sembrare un paese di mare mentre siamo nel bel mezzo delle Ande!

Dino