domenica 12 marzo 2017

Sulla strada

La strada, che magia!

La strada accomuna, annulla le distanze, da' spazio al contatto, all'amicizia, alla comunione di persone rese simili dal l'appartenenza al medesimo ambiente vasto, la strada, appunto.

I bikers sono un popolo trasversale che ha per patria la strada dove si confronta e si ritrova.

Ci si saluta quando ci s'incrocia come si fa per mare, ci si sente diversi dagli automobilisti, rinchiusi nelle loro scatole di latta, noi siamo quelli a contatto con il terreno, il vento, il sole e la pioggia.

È' variegato e composto il popolo dei bikers ma è sincero, forte e solidale: in un paese immenso come la Patagonia ci s'incontra per lo più nelle stazioni di servizio o nei punti di ristoro e ogni volta ci salutiamo, ci raccontiamo percorsi, tappe avventure.

-Siete diretti a sud o a nord?

Di solito è la prima domanda e poi giù racconti su quello che si è visto e sulle strade percorse, sugli itinerari, le tappe, i paesaggi, le emozioni.

L'abbiamo soprannominata l'olandesina volante: Greta viene da Amsterdam, è molto simpatica e vivace, gira insieme a un ragazzo tedesco altissimo, ma lei ci dice con la faccia furba che non è molto sveglio e sfreccia via con un sorriso malizioso stampato sulla faccia. Vanno verso sud, in mezzo al Cile abbiamo trovato un suo messaggio di saluto lasciato sulle nostre moto, "Safe trip".

Emanuel è un ragazzo belga che viaggia da solo: è super attrezzato ed equipaggiato, ha già girato mezzo mondo, con la sua Kawasaki enduro, ha un fisico da pentatleta e un sorriso franco, adora il Ripio e se lo va a cercare tutte le volte che può, dorme in tenda, si ferma a nuotare nei torrenti di montagna, o a fare lunghe camminate. E' un tipo speciale, un solitario socievole, lo abbiamo incrociato varie volte e ci siamo sempre fatti un sacco di feste.

Ci fermiamo in una piazzola di sosta prima di Puerto Madryn e veniamo raggiunti da un gruppo di bikers brasiliani con maxi moto che stanno girando la Patagonia andando a sud lungo la costa atlantica fino a Ushuaia con l'intenzione di risalire lungo il versante Pacifico. Sono una banda di allegroni e ci coinvolgono in battute, risate e fotografie. Arriva anche un pullman di signore argentine che ci offrono pezzi di torta fatta in casa che mangiamo lì in piedi, in mezzo alla strada, tra frizzi e lazzi.

Bajo Caracoles è un incrocio di strade con quattro case ma, nonostante quello che dice Chatwin, è un posto cruciale nelle rotte dei motociclisti. Mentre aspettiamo che venga sistemata la moto di Claudio, in quel bar senza nome continua a entrare gente di tutti i tipi. Arrivano due svizzeri, elegantissimi nelle loro tute di pelle, hanno due BMW prese a nolo, parlano un ottimo italiano. Hans è alto e prestante sui 50 anni, capelli brizzolati e sorriso da ragazzo, Jurgen è più anziano, piccolino, pochi capelli, occhiali tondi tante rughe. Li incontriamo ancora un altro paio di volte e sono sempre cordiali, felici e sorridenti, sono di ritorno da Ushuaia, si preparano a rientrare, sembrano proprio una coppia molto affiatata.

I due ragazzi sulla Suzuki stracarica fino all'inverosimile sono australiani, lei è piccolina minuta e bruna lui biondo con la barba e gli occhi azzurri. Hanno acquistato la moto in Sudamerica e sono in giro da nove mesi, hanno persino una canoa con la quale vogliono attraversare non so quali rapide. Li incontriamo sul traghetto da Puerto Natales a Porvenir insieme a una banda di brasiliani con mega BMW super accessoriate tutti griffati in un trionfo di caschi e tute monocolori, interfono e microfonini che guardano con leggera aria di superiorità i nostri piccoli ed essenziali Dominators. Ci ritroviamo tutti sul Ripio per Rio Grande dove affrontiamo insieme la prova del mare di fango, e là diventiamo tutti uguali di fronte alle vere difficoltà, non c'è griffe che tenga o atteggiamenti del tipo lamiamotoemegliodellatua. Siamo tutti fermi in fila indiana davanti alla strada che è diventata un campo di patate con il fango alto dieci centimetri che sembra voglia risucchiare gli stivali per non lasciarli più andar via e la betoniera con le sue dieci ruote ribaltata su un fianco a far da monito ai pazzi che osano sfidare quel magma maligno.

Ci organizziamo e facciamo attraversare una moto per volta con il pilota in sella e due ai fianchi a sorreggerlo: a passo d'uomo e con molta fatica riusciamo a traghettare tutti dall'altra parte, compresa la Suzuki stracarica . Alla fine siamo veramente tutti uguali il fango e ci ha affratellati, moto, stivali e tute sono del medesimo colore.

Le Dominator vanno e vanno sul Ripio maligno anche se la fatica e la tensione sono enormi in attesa che il fango ricompaia, come puntualmente accade più volte, su saliscendi accidentati e curve insidiose. Incrociamo di nuovo i bikers brasiliani e questa volta riceviamo solo grandi manifestazioni di stima, rispetto e approvazione.

Siamo in Cile sulla Carretera Austral, siamo partiti da Puerto Rio Tranquillo diretti a nord, verso Chaiten, dove contiamo di imbarcarci per l'isola di Chiloe', la magica. Dopo un ripio impegnativo ci fermiamo per mangiare qualcosa alla Cocina de Sole, due pulmini appaiati a bordo strada dipinti alla hippy, dove servono dei giganteschi hamburgers. Parcheggiamo vicino a due BMW che conosciamo bene, sono Harry e Johnatan, due canadesi che abbiamo già incontrato più a sud, qualche giorno fa.

Harry ha la nostra età, è in pensione, è in giro da sei mesi, e conta di tornare in Canada in moto. Sono entrambi diretti a Santiago dove Harry incontrerà la moglie, una ricercatrice che comincerà uno stage in sudamerica, trascorreranno un periodo insieme poi lui ripartirà verso nord. Johnatan ha cinquant'anni, alto e atletico, deve tornare al suo lavoro: a Santiago aspetta un amico che riporterà la moto a destinazione insieme a Harry mentre lui volerà ad Anchorage. Facciamo loro i complimenti per il programma, hanno toccato più o meno le nostre medesime tappe, ma loro si sono spinti a sud sulla 7 da Cochrane, fino a Villa o'Higgins cosa che noi non abbiamo fatto. Laggiù la strada finisce e bisogna tornare indietro, spesso sotto la pioggia. Johnatan sorride e ci confessa che anche loro sono tornati indietro, ma che a Villa o'Higgins in realtà esiste un valico molto impervio che permette di scavalcare le Ande e tornare verso est, in Argentina. Loro hanno tentato di attraversarlo, ma era inondato con l'acqua alta più di un metro e il fondo tutto ciottoli instabili e fango infido, per cui hanno dovuto rinunciare. Noi lo abbiamo escluso a priori, a Villa O'Higgins non siamo mai arrivati, ma quanto ne abbiamo parlato e che rimpianti a non essere scesi verso sud! Li abbiamo ancora, anche dopo che Johnatan ci ha raccontato la loro avventura, avremmo comunque voluto provarci, ma per percorrere in moto gli ultimi 200 km di Carretera Austral non bastano due giorni. Johnatan e' anche scivolato in una scarpata, per fortuna senza grosse conseguenze alla moto e lui se l'è cavata con qualche ammaccatura, ma ha dovuto chiedere aiuto a un mezzo di passaggio perché non riuscivano a tirarla fuori per rimetterla su strada.

Un sorriso, in sorso di birra, una stretta di mano e via, loro diretti a sud, noi a nord.

Riprendiamo la 7, ora siamo sull'asfalto e viaggiamo alla grande, tra paesaggi montani che ricordano un po' le alpi, con piccoli agglomerati di case sparse tra quelle montagne imponenti che non a caso sono le Ande. In fondo a una discesa una figura che si sbraccia: ci fermiamo, è un ragazzo di una trentina d'anni che viaggia su una scalcagnata 125 Honda che ha forato. Ci consultiamo, abbiamo già sulla coscienza un ragazzo cileno che non abbiamo potuto aiutare, non facciamo il bis: ci fermiamo e gli diamo una mano. La gomma e' a terra: prova bomboletta, niente da fare; Claudio tira fuori il piccolo compressore che abbiamo in dotazione, lo attacchiamo alla batteria di una delle moto e proviamo a rigonfiare la gomma. Niente. O si cerca un gommista, c'è un piccolo paese, Villa Amengual, venti chilometri a sud, o smontiamo la ruota. Il sole sta calando, dobbiamo anche trovare un posto per la notte: Tin , così si chiama il ragazzo, è olandese, dice che lui si accamperà da qualche parte. Franco parte alla ricerca di un Hostel e Claudio si dispone a smontare la ruota posteriore, cosa non facile perché la moto che l'incauto Tin ha acquistato a Santiago è un ammasso di ruggine. Comunque l' ingegnere riesce nell'impresa, smonta la ruota ed estrae la camera d'aria che è piena di rappezzi. Per fortuna Tin ne ha una nuova, per fortuna perché il nostro eroe gira per la Patagonia dotato di una chiave a inglese e niente altro, cosa che fa inorridire Claudio che ha distribuito nei bauletti delle nostre moto ogni ben di Dio di ferri e pezzi di ricambio. Rigonfia la ruota che tiene perfettamente, la rimonta e la moto è a posto, meglio di prima. Nel frattempo sta calando la notte, lo salutiamo e seguiamo Franco che ha trovato cena e alloggio a buon mercato a Villa Amengual.

Il giorno dopo incontriamo a colazione un ometto della nostra età con la barba rada e gli occhi vispi, accompagnato da una bella signora che è la moglie. Sono israeliani e sono in giro con il loro BMW GS 1200 già da parecchio tempo. Sono diretti a a Ushuaia dove venderanno la moto perché non la possono più riportare in Israele, la dogana consente l'importazione solo di mezzi immatricolati da meno di due anni. Obbietto che in Argentina non si possono vendere mezzi usati ai locali, ma quelli sono israeliani e ne sanno una più del diavolo! Esiste un sito internet che mette in comunicazione i viaggiatori stranieri che vogliono vendere e comprare mezzi all'estero: basta un notaio e il gioco è fatto, il proprietario si libera del mezzo e l'acquirente se lo ritrova già in Argentina. Niente di più facile. Lui poi mi racconta di essere in pensione e che sta girando il mondo: possiede una moto in Spagna e una in Inghilterra, e ogni tanto le sposta, a volte con la moglie, a volte da solo. Sono ammirato, oltretutto il loro BMW è' stracarico di parti di rispetto e loro due girano con due borsette minuscole con pochissime cose: -A ogni viaggio impariamo a fare a meno di qualcosa - mi dice sorridendo- ormai siamo quasi perfetti.

Siamo finalmente arrivati a Chiloe' , scendiamo dal traghetto e dirigiamo a sud verso Castro ma ci fermiamo ad Ancud per fare benzina. La cittadina è carina, andiamo in centro e ci fermiamo sulla piazza principale dove c'è un museo etnografico e un baracchino che vende panini caldi. Mentre mangiamo seduti sulle panchine dei giardini pubblici, ci si avvicina un uomo robusto sui cinquant'anni e ci apostrofa in spagnolo.

-Hola Italianos, Como va? Vi ricordate di me?

Ci guardiamo perplessi, non ci sembra di averlo mai visto, poi lui nomina Cerro Sombrero e le nostre menti si illuminano. Lo abbiamo incontrato nel cortile dell'albergo la sera del primo giorno di viaggio, quando arrivammo con il buio stanchi e affamati. E' un "motero" anche lui, abbiamo scambiato due chiacchiere, ci siamo salutati alla partenza l'indomani mattina, mentre assemblavamo il bagaglio, e poi ancora sul traghetto sullo Stretto di Magellano, ma ora, visto in abiti "borghesi" senza giacca, guanti e casco non lo abbiamo riconosciuto, ma lui si, ci ha individuati immediatamente ed e' venuto a salutarci e a chiederci se abbiamo bisogno di qualcosa, lui abita lì ad Ancud, è un Chilote doc ed è felice e fiero che noi abbiamo fatto tanta strada per venire a visitare la sua bella isola, la sua terra.

Gli facciamo un sacco di feste, decliniamo l'invito, il tempo è tiranno, e riprendiamo la strada tra i saluti e gli abbracci.

Siamo su un ripio maligno e polveroso, procediamo in una nuvola di terra rossa smossa dal vento e dalle ruote nella quale la visibilità e a volte molto scarsa. La strada è un dei tanti "desvio" della Ruta 40 in perenne costruzione, ma questi improvvisi tratti di ripio possono anche protrarsi per molti chilometri. Corriamo paralleli alla strada in costruzione separati da dune di sabbia. A un tratto vediamo due motociclisti correre sulla parallela chiusa al traffico, dove c'è invece un buon asfalto. Si fermano e ci chiamano, Franco e' già li', io attraverso le dune con qualche difficoltà mentre Claudio prosegue nella polvere. Ci fanno cenno ci avviamo con loro su un asfalto perfetto che, dopo una decina di chilometri, finisce a fondo cieco contro invalicabili dune sabbiose. Esploriamo i dintorni alla ricerca di un passaggio possibile ma invano. Siamo costretti a tornare indietro fino a dove siamo entrati per ripercorrere con le medesime difficoltà la strada a ritroso e riprendere ripio e polvere da dove ci eravamo interrotti. Li incontriamo di nuovo a San Juan, dal gasolinero, il più anziano e' un settantenne molto vivace con una figlia sposata in Cile, che gli ha procurato la moto, l'altro avrà una cinquantina d'anni, abbronzato con due occhi celesti e una Transalp con la leva della frizione spezzata in una caduta, che gli procura parecchie difficoltà di guida. Claudio rimette mano all'arte ale e tira fuori una leva perfettamente compatibile che viene montata in un batter d'occhio. I tedeschi ci sono molto grati, li abbiamo tirati fuori dai guai, vorrebbero pagarci la leva ma noi siamo troppi signori e poi, vuoi mettere la soddisfazione di aver dimostrato ai tedeschi che qualche volta gli italiani sono più organizzato di loro?

Arriviamo a Tenaun e dopo l'ottima cena dalla signora Mirella condita dai racconti di Leandro, veniamo invitati alla festa del Paese che celebra il 450* anniversario dalla sua fondazione, con uno spettacolo in costume di canti e danze popolari, cui partecipano tutti gli abitanti di quel minuscolo aggregato. Ci ferma una ragazza bruna dai lunghi capelli e un luminoso sorriso:

- Salve, ci siamo già incontrati, sulla strada, dopo Puerto Montt, facevo l'autostop.

E' vero, me la ricordo in un lampo, ai bordi della strada che ci fa un grande sorriso e ci saluta mentre le passiamo davanti, impossibilitati a darle un passaggio causa ingombro bagagli.

Lei ci ha riconosciuti, ovviamente dalle moto, e ci siamo ritrovati proprio qui, in questo paesino sperduto, nel quale siamo arrivati per puro caso, spinti dalla pioggia.

Fabian ci ha fermati a Buenos Aires per dirci della sua Associazione di motociclisti offroad, poi ha chiamato il suo amico Guillermo 2000 km più a sud che ci ha trovati e contattati sul blog, ci ha prenotato l'albergo a Puerto Natales, e' venuto a cena con noi e ci ha dato un sacco di consigli.

A Benito Juarez ci ha avvicinato un biker che ci ha accompagnato in un albergo pulito ed economico, a Trelew ci hanno indirizzato e scortato dal meccanico Adriano Lazaro che ha risolto i problemi di carburazione della mia moto.

Siamo stati avvicinati infinite volte da motociclisti argentini e non, che volevano rendersi utili, dimostrarci simpatia, affetto, condividere con noi la strada, il progetto, il sogno, il viaggio.

La strada, che magia!

Dino

Miti e banditi

Il nastro d'asfalto corre dritto verso l'infinito, la linea dell'orizzonte e' un immenso arco di cerchio che si chiude sulla ruota anteriore della moto lanciata sulla strada, il sole basso verso ovest ne disegna il profilo sulla brughiera, mentre le nuvole diventano rosse e il cielo assume sfumature viola.

La pampa è adagiata immobile ai due lati della lunga linea grigia, su di essa ancora cavalcano i miti immaginari di questa terra aspra e inospitale, uomini generosi e senza paura, che hanno combattuto il potere costituito spesso per tornaconto personale ma che sono stati trasformati nell'immaginario popolare in figure leggendarie che si battevano contro l'ingiustizia e la protervia del più forte.

Butch Cassidy e Sundance Kid arrivarono a Buenos Aires nei primi mesi del 1901 dopo l'ultima rapina al treno della Northern Pacific nel Montana che aveva fruttato loro più di 40.000 dollari e aveva convinto la compagnia a mettere sulle loro tracce l'Agenzia Pinkerton. Dal 1986 erano stati tra i protagonisti del "Mucchio Selvaggio", the wild bench, la più grande e famosa banda criminale di tutti i tempi.

In fuga dagli Stati Uniti dove erano ormai braccati, sbarcarono dalla nave Herminious sotto falso nome: con loro viaggiava Etta Place, la maestrina innamorata di Sundance alla quale Butch non aveva mai smesso di fare la corte. I tre, dietro suggerimento del vice console americano a Buenos Aires proseguirono per la Patagonia, dove acquistarono un'estancia nel Chubut, nella valle di Cholila. Ottennero in concessione dal governo Argentino più di 600 ettari di terra, sulla quale cominciarono ad allevare bestiame.

La comunità locale contava solo 14 famiglie e il luogo era un paradiso: una vallata circondata da montagne, praterie con ottimi pascoli e laghi con acque cristalline.

Il singolare terzetto fu accolto molto bene e si integrò senza fatica in quella comunità di coloni gallesi e nord americani.

Nel frattempo la Pinkerton era sulle loro tracce e aveva tappezzato Buenos Aires di manifesti con le loro immagini con impressa la scritta "Wanted". Per tre anni riuscirono a vivere come allevatori onesti, fino a quando, nel 1905, fu rapinata da due Yankees una banca a Rio Gallegos, 700 km a sud di Cholila. La polizia attribuì subito la responsabilità del colpo a Butch e Sundance, nonostante il loro alibi reggesse e la descrizione dei rapinatori non corrispondesse affatto a loro: a questo punto i tre vendettero i loro beni e fuggirono in Cile nel maggio del 1905. Dopo alcuni mesi tornarono in Argentina e alle vecchie abitudini: rapinarono la banca di Villa Mercedes de San Luis e fuggirono verso ovest, oltre il confine cileno, dove si stabilirono nel porto di Antofagasta. Dopo la rapina di Villa Mercedes, Etta Place tornò negli Stati Uniti, forse per essere sottoposta a un intervento chirurgico, forse perché stanca di quella vita fuggiasca ed errabonda. Fu segnalata per l'ultima volta a San Francisco nel marzo del 1906, e dopo quella data le tracce si fanno incerte. Nel frattempo Butch e Sundance si trasferirono in Bolivia dove trovarono lavoro alla Miniera di Concordia Tin come guardie del libro paga; ne fu successivamente registrata la presenza a Tupiza, ove sembra che Butch fosse stato riconosciuto nonostante continuasse a negare la sua identità. Nell' Agosto del 1908 due Yankees avevano rapinato le paghe dei minatori di una compagnia locale proprio a Tupiza, fuggendo verso nord, con l'intenzione di arrivare a Oruro. Arrivati a San Vicente al tramonto del 6 Novembre furono denunciati ai soldados della vicina contea che, appena entrati nel Barrio, furono accolti dai colpi di pistola di uno dei banditi che resto' ferito nello scontro a fuoco.La casa fu circondata e la sparatoria si prolungo' fino alla mattina successiva, quando fu trovato un corpo sul pavimento, con una pallottola nella tempia e un'altra nel braccio e un secondo su una panca, con una pallottola in fronte. I due cadaveri furono riconosciuti come quelli degli uomini che avevano effettuato la rapina e fu aperta un'inchiesta che non riuscì però mai ad appurare la vera identità dei banditi: tuttavia si diffuse presto la voce della morte di Butch e di Sundance avvenuta in Bolivia a San Vicente, forse anche alimentata da quanti volevano disfarsi di personaggi così scomodi. Nel 1909 Frank Aller, vice console americano in Cile, scrisse alla Legazione americana a La Paz per ottenere la certificazione della morte di due americani, uno noto come Frank Boyd e l'altro come Maxwell, pseudonimi usati dai due fuorilegge, uccisi a San Vicente vicino Tupiza dalla polizia locale e seppellìti come 'desconocidos' . La legazione spedì la richiesta al ministero boliviano per gli stranieri, che successivamente invio' una sintesi del rapporto dell'inchiesta e i certificati di morte per due uomini di identità sconosciuta. Molti accettarono l'idea che i due "americanos" erano morti nella sparatoria di San Vicente, ma il Sudamerica vive di miti e leggende, e una di queste leggende narra che i due si fecero credere morti e che passarono la vecchiaia in Nordamerica sotto falso nome. Recentemente due studiosi americani si sono messi sulle tracce dei due banditi. Dopo aver consultato centinaia di documenti negli archivi delle società minerarie, dei consolati, negli uffici della polizia, sono finiti proprio nel cimitero del paesino di San Vincente dove hanno trovato una piccola tomba senza nome con i resti di due uomini. Trasportati nei laboratori americani, sono stati oggetto di test sul Dna che non sono stati in grado di dare una conferma definitiva, ma i due americani non hanno dubbi: gli scheletri sono quelli di Cassidy e Kid.Il primo dei due teschi presenta un foro d'entrata sulla tempia destra e uno di uscita su quella sinistra; il secondo ha l'osso frontale frantumato, presumibilmente da un proiettile. Che cosa è realmente accaduto? Cassidy ha ucciso il suo compagno, per poi suicidarsi? Ci sono comunque altre versioni della storia: una racconta di uno scontro fatale con la polizia uruguayana nel 1911, un'altra afferma che i tre avrebbero guadagnato bene con la vendita della estancia nel Chubut e sarebbero tornati a New York a fare la bella vita. Nel suo libro In Patagonia, Bruce Chatwin dice che ancora nel 1924 Etta viveva a Denver, Colorado, con una figlia, Betty Weaver, mentre Lula Parker Betenson, la sorella di Butch, nella biografia "Buch Cassidy, mio fratello" afferma che egli tornò sano e salvo negli Stati Uniti dove visse nell' anonimato per parecchi anni. Esistono diverse testimonianze a favore di questa affermazione e altri personaggi che confermano che Butch Cassidy si sottopose a una plastica facciale a Parigi per poter tornare in America con una nuova identità , e che Sundance Kid visse negli Stati Uniti fino al 1937, anno in cui morì tranquillamente nel suo letto.

L'aura leggendaria che avvolge il personaggio di Butch Cassidy lo narra ancora oggi come un bandito gentiluomo che non uccise mai nessuno, che derubo' soltanto banche e compagnie ma mai singole persone, capace di cavalcare per miglia e miglia per portare aiuto a chi ne aveva bisogno.

Personaggi simili si ritrovano ancora nella storia della Patagonia degli anni venti del novecento, attori di una rivolta popolare che vide la sollevazione dei Gauchos e dei campesinos contro i latifondisti, raccontata con grande partecipazione negli articoli di Alberto Prunetti ispirati a Patagonia Rebelde di Osvaldo Bayer, l'anti Chatwin.

Raccontano gli anni di Antonio Soto e della Societa' Obrera di Rio Gallegos, degli anarchici e dei sindacalisti arrivati in Patagonia da tutta Europa, della rivolta dei brutti sporchi e cattivi, degli uomini che valevano meno dei muli, sfruttati e sottopagati dai grandi latifondisti, di scioperi e repressioni militari, di umiliazioni e morti a migliaia, vittime di attacchi indiscriminati e di fucilazioni sommarie, di sepolture nelle fosse comuni.

Raccontano anche l'epopea di due Gauchos Italiani, uomini di cavallo e di coltello, diventati famosi da queste parti come Butch e Sundance, come loro avvolti da un'aura leggendaria di uomini contro, di guerriglieri e montoneros.

Il primo si chiama Alfredo Fonte anche se ha altri mille nomi, ma è noto a tutti solo come El Toscano; il secondo è per tutti El 68, il numero della sua cella dove nel carcere di Ushuaia, oppure El Piemonteis, al secolo Jose' Aicardi. Entrambi vaqueros, segnati dalla dura vita nella pampa patagonica, non riescono a leggere nell'atmosfera di ribellione degli umili e degli oppressi di quel periodo i fumosi discorsi dei sindacalisti e della politica.

Sono uomini d'azione che scelgono istintivamente la logica della guerriglia, della guerra di corsa: radunano le bande, assaltano le estancias, prendono in ostaggio i maggiorenti e si ritirano rapidamente. Così mentre il sindacato discute e argomenta, El Toscano e El 68 galoppano per tutta la Patagonia razziando, facendo bottino, sequestrando uomini, armi e cavalli e disperdendo a fucilate i crumiri fatti arrivare da Buenos Aires.

Lo sciopero continua e continuano le scorribande, che mettono sotto scacco la milizia: durante l'ultima razzia c'è stato un conflitto a fuoco con la polizia con morti da entrambe le parti, i due Gauchos raccolgono la banda e si ritirano in montagna. I padroni vogliono scendere a patti e avanzano una proposta in cui accolgono alcune richieste ma pretendono la resa incondizionata dei ribelli che dovranno consegnare le armi in cambio dell'immunità.

La proposta viene messa ai voti e la maggioranza decide di tornare al lavoro. Gli ostaggi sono rimessi in libertà, peones e gauchos tornano alle loro case, mentre El Toscano e El Piemonteis si danno alla macchia con una parte degli uomini e il grosso delle armi. El 68 fa perdere le sue tracce, mentre El Toscano si nasconde nella cordigliera andina e organizza un nuovo gruppo d'azione, El consejo rojo, un bracciale rosso come segno distintivo. Incontra Soto e gli propone di sollevare i peones contro i grandi proprietari e di attaccare le caserme, cacciando i soldados dalla cordigliera andina, ma il sindacalista non condivide il progetto di guerriglia e si arriva alla rottura definitiva tra le due anime della rivolta. El Toscano e la sua banda cadranno in un'imboscata in montagna, circondati dai miliziani mentre erano radunati davanti al fuoco, forse venduti dagli stessi peones che volevano difendere. Gli scioperi e il movimento finiranno in un bagno di sangue orchestrato dal Colonnello Varela, con la fucilazione conclusiva di 200 scioperanti armati soltanto con i manifesti rossi e neri disegnati a mano.

Cala il sole dietro la cordigliera del Salgado, svaniscono le ombre che cavalcavano insieme alle nostre moto, e' il crepuscolo, tempo di trovare un rifugio per la notte.

Dino

Nota d'Autore: per la stesura di questo capitolo ho fatto riferimento, tra gli altri, a:
Butch Cassidy, il ritrovamento del pistolero - Arturo Zampaglione - Farwest.it
Patagonia rebelde - Osvaldo Bayer, Eleuthera ed.
L'anti-Chatwin: bandoleros italiani della Patagonia - Alberto Prunetti, Carmillaonline, settembre 2010